"NON È STATA UNA SCELTA: L'OPZIONE ERA O BRITTNEY GRINER O NESSUNO" - GLI STATI UNITI HANNO PROVATO FINO ALL'ULTIMO A RIPORTARE IN PATRIA ANCHE PAUL WHELAN, L'EX MARINE DETENUTO IN RUSSIA DAL 2018 CON L'ACCUSA DI SPIONAGGIO, NELLA TRATTATIVA DI SCAMBIO DI PRIGIONIERI CHE HA PORTATO ALLA LIBERAZIONE DI BRITTNEY GRINER IN CAMBIO DI VIKTOR BOUT - LA CONFESSIONE DI UN FUNZIONARIO USA: "PER I RUSSI L'ACCUSA CHE GRAVA SUL CAPO DI WHELAN ERA..."

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brittney griner arriva in aula in manette brittney griner arriva in aula in manette

Alberto Simoni,Francesco Semprini per “la Stampa”

 

Le trattative sono andate avanti per settimane e solo lo scorso giovedì il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha dato il via libera definitivo. È un funzionario dell'amministrazione americana a ricostruire le fasi salienti dello scambio di prigionieri tra Stati Uniti e Russia che ha portato alla liberazione di Brittney Griner in cambio di Viktor Bout, conosciuto come il mercante di morte e condannato nel 2012 a 25 anni di carcere.

 

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L'inquilino della Casa Bianca avrebbe seguito personalmente i negoziati per mesi, ma è stato solo nelle ultime settimane che ha preso la decisione «molto dolorosa» di perdonare Bout per riportare a casa la campionessa di basket. «L'accelerazione per il rilascio di Griner è arrivata negli ultimi giorni, sebbene i contatti siano sempre stati fitti, con Washington che ha offerto molte opzioni per il rilascio della cestista e di Paul Whelan», l'ex Marine detenuto in Russia dal 2018 con l'accusa di spionaggio. Il tutto è avvenuto in «circostanze complesse e difficili», spiega il funzionario con ovvio riferimento alla crisi ucraina. Nonostante i negoziati, la Russia ha sempre rigettato ogni offerta, sino agli ultimi giorni quando sulla scrivania di Biden è finita una proposta secca di Mosca, «Griner o niente».

 

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«Non è stata una scelta, l'opzione era o la cestista o nessuno - dice il funzionario -, questo perché per i russi l'accusa che grava sul capo di Whelan è più grave di quello della Griner», arrestata lo scorso febbraio perché aveva nel bagaglio delle cartucce vape di marijuana. Concetto ribadito dallo stesso Biden.

 

«Non è stata una scelta su quale americano portare a casa», ha detto il presidente ribadendo che ciò dipende dal trattamento diverso «e totalmente illegittimo» riservato dalla Russia all'ex militare Usa. Biden ha però rassicurato la famiglia di Whelan che non demorderà nei tentativi di riportarlo a casa.

 

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Era stata Washington ad avanzare all'inizio dell'estate la proposta di uno scambio di prigionieri cui la Russia si era opposta in pubblico, dietro le quinte infatti i negoziati sono sempre proseguiti. Del resto, lo stesso Biden sin dall'inizio della sua amministrazione ha fatto della necessità di riportare a casa i «prigionieri ingiustamente detenuti all'estero», una priorità del suo mandato. A cui ha dato seguito con una serie di contatti su più livelli che non si sono mai interrotti.

 

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Due di questi sono senza dubbio con gli Emirati Arabi Uniti e l'Arabia saudita, come spiega un comunicato congiunto in cui il presidente Mohamed bin Zayed bin Sultan Al Nahyan e il principe ereditario Mohammad bin Salman affermano di aver guidato gli sforzi di mediazione. Lo scambio di prigionieri è peraltro avvenuto negli Emirati, ai quali è stato rivolto il ringraziamento di Biden. Cauta la portavoce della Casa Bianca.

 

«Lo scambio di prigionieri è stato negoziato solo da Usa e Russia», spiega Karine Jean-Pierre rispondendo alla domanda sul coinvolgimento di Mbs. Il principe ereditario ha infatti relazioni gelide con il presidente americano (per la vicenda dell'assassinio del giornalista Jamal Khashoggi) ma ottime con Putin. Tanto è vero che l'Arabia saudita ha avuto un ruolo importante anche nel maxi scambio di prigionieri tra Ucraina e Russia avvenuto a ottobre che ha portato alla liberazione, tra gli altri, di diversi combattenti dell'acciaieria Azovstal.

 

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Washington ha però messo in chiaro due cose. La prima è che quanto avvenuto «non rappresenta un precedente» e che la posizione americana in generale non cambia in merito allo scambio di prigionieri. Un monito rivolto ad alcuni governi affinché non traggano da quanto è successo conclusioni a proprio vantaggio. A Washington infatti riconoscono che la liberazione di Bout è un duro colpo, ma si è fatto buon viso a cattiva sorte spiegando anzitutto che «Griner è finalmente dalla sua famiglia, e che Bout ha comunque scontato oltre 10 anni in un carcere americano, pertanto non si può parlare di una resa del sistema giudiziario americano».

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Il secondo aspetto riguarda invece la posizione degli Stati Uniti nel conflitto in Ucraina, ed in questo senso sono arrivate rassicurazioni nei confronti di Kiev. Fonti dell'amministrazione hanno enfatizzato che per tutto il corso del negoziato si è sempre discusso su un unico tema: «Siamo sempre stati focalizzati su questo». E Kiev stessa sarebbe stata allertata sul fatto che il negoziato era su un unico binario. Su questo aspetto è stata chiara la stessa portavoce Jean-Pierre: «Lo scambio di prigionieri con la Russia non cambierà l'impegno Usa verso il popolo ucraino».

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