Massimo Gramellini per il "Corriere della Sera"
Federica Pellegrini non riesce a capacitarsi che le sia toccato proprio adesso, Mariastella Gelmini giura di essere stata «superattenta», Valentino Rossi ci tiene a far sapere di avere fatto del suo meglio per rispettare le precauzioni. Non si era mai visto un paziente giustificarsi e chiedere quasi scusa per essersi ammalato, ma il Covid non è una malattia come le altre.
Lo abbiamo raccontato come un giudizio divino, che, almeno tra i famosi, colpiva in prevalenza gli sbruffoni, per cui chiunque lo prende si sente in dovere di protestare la propria innocenza. Il malato teme di passare per traditore e per potenziale untore, e mentre in qualunque altra malattia starebbe in pena in sé, in questa finisce per essere quasi più preoccupato da quello che penseranno gli altri. I vip della politica e dello spettacolo hanno paura di apparire disattenti e strafottenti, gli sportivi si sentono offesi in quella che è la loro attrezzatura di lavoro, il corpo.
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Ma su tutti, famosi e non, sportivi e non, aleggia la sensazione di una punizione divina e di un giudizio sociale che non hanno ragione di esistere, se non nelle ossessioni dei terrorizzati, che ai miei occhi hanno la stessa credibilità dei loro contraltari negazionisti. Il Covid non è la peste né un castigo biblico, ma un virus molto contagioso da cui dobbiamo proteggerci meglio che si può e per quanto si può. Sapendo, però, che risultare positivi al tampone non solo non è una sentenza di morte. Non è nemmeno una nota di biasimo.
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