Gabriella Saba per Il Venerdì di Repubblica
La sinoalense Claudia Ochoa Félix ha una trentina di profili facebook, varie comunità e una decina di gruppi a suo nome. La pagina pubblica più visitata conta 179mila fans, la più sguarnita 399. Capelli lunghi neri e occhi da gatta, la Ochoa esibisce un fisico prorompente inguainato in gonne vertiginose o in tute mimetiche mentre impugna kalashnikov e pistole d’oro, o beve vino bianco affondata in un sofà con accanto due guardaspalle armati e in passamontagna.
Migliaia di messaggi d’amore sfilano sulle bacheche accanto agli attestati di stima e a qualche insulto. Molti le chiedono lavoro promettendo fedeltà per sempre. Il fatto è che la bella Claudia non è soltanto una star dei social ma, secondo la vox populi enfatizzata dalla grancassa di molti media, nientemeno che la leader de Los Ántrax – le squadre armate che proteggono El Mayo Zambada, uno dei fondatori del Cartello di Sinaloa – salita a quel rango dopo la cattura del compagno El Chino ed entrata nella rosa delle narcos più temute, benché non sia nemmeno indagata.
Nel marzo scorso, la Ochoa ha convocato una conferenza stampa in cui negava il suo ruolo nel narcotraffico ed è probabile sia sincera (i più avveduti ritengono sia solo l’amante di qualche trafficante) ma nel frattempo era diventata un mito per molte ragazze della mala e degli ambienti della sottocultura: esempio vincente di buchona, la donna del narco nella versione recentissima che unisce al fisico formoso e modellato da chirurgie estetiche l’aspetto da dura abile con le armi, spietata e con nervi di amianto.
«Sono più verga di te» scrivono alcune ragazze nei rispettivi profili facebook, occhi canaglia che sbucano dal passamontagna, kalashnikov e gambe da passerella. «Ammiro la Ochoa perché è più coraggiosa degli uomini» ci racconta una giovane che utilizza nella propria pagina il nome e le foto di Claudia, pur ammettendo di non somigliarle.
Stereotipo di belle e cattive in chiave narco pompate dall’immaginario e dal cinema di cassetta? Non solo. Negli ultimi anni il ruolo delle donne nel narcotraffico è cambiato. Dal 2007 al 2010 le detenute per crimini di droga sono aumentate del quattrocento per cento, mentre dei trentamila catturati dal 2006 alla fine del 2012 più di un terzo sono donne.
Gli ufficiali di polizia che hanno fatto irruzione in un campo di addestramento degli Zeta, qualche anno fa, sono rimasti stupefatti nello scoprire che quasi metà degli istruttori erano di sesso femminile. È vero che gli Zeta sono i più femministi, ma in generale il mondo maschile della droga si adegua ai tempi.
Sarà che gli uomini cadono prima o vengono arrestati, e a quel punto tocca alle donne di famiglia prenderne il posto. Vedi l’attuale capa del cartel de Tijuana, Enedina Arellano Felix detta la Narcomami: a mano a mano che i sei fratelli venivano catturati o uccisi, lei scalava la gerarchia del gruppo che dirige da quando, due anni fa, l’ultimo della dinasta è stato fatto fuori a una festa.
È una signora bionda e riservata di 54 anni che ha rivoluzionato la politica del suo Cartello, uno dei più spietati benché in decadenza, puntando sulle alleanze anziché sulla guerra, tanto che ha fatto pace perfino con il Cartel de Sinaloa, con cui per anni si erano scannati per il controllo della Baja California.
La Narcomami è un’eccezione per i modi concilianti, molto sui generis tra le consimili: spietate come gli uomini, capaci delle peggiori efferatezze come nel caso della Guera Loca, comandante dei sicari del Cartel del Golfo morta sgozzata a 23 anni dopo aver decapitato decine di nemici con coltellini o machete, perfino seghe elettriche.
Da lì quel soprannome Loca, pazza, mentre la Guera sta per bionda: benché non ci siano foto, si sa che era chiara d’occhi, alta e fine così come la giovanissima sicaria dello stesso Cartello, Joselyn Alejandra Niño detta La Flaca, il cui corpo è stato trovato a pezzi in una sacca frigorifera vicino al confine con gli Stati Uniti qualche mese fa.
Sottile e acqua a sapone, sorriso da bambina e occhiali da sole sulla testa, la Niño era stata immortalata mentre posava con un giubbotto antiproiettile e un fucile d’assalto e la sua foto, così diversa da quella delle narcos solite, aveva fatto il giro della rete. Tra l’altro, il soprannome Flaca indicherebbe una nuova categoria di sicarie di vari cartelli, tutte giovanissime e che i narcos utilizzano per l’apparenza insospettabile.
Inevitabile che il nuovo, femminile narco deal abbia generato film e libri come Miss Narco del giornalista Javier Valdez: interviste a killer, buchonas e vittime. «Negli Stati più poveri molte donne vedono il narcotraffico come un’opportunità di lavoro in cui hanno un ruolo più centrale rispetto a qualche anno fa» ci spiega. «Per amore o per interesse sono coinvolte in operazioni di riciclaggio del denaro, traffico di droga e omicidi. Non vanno giudicate, ma capite in quel contesto e quindi in maniera empatica».
Eppure, come provare empatia per personaggi come Melissa Margarita Calderón Ojeda detta La China, arrestata quattro mesi fa e accusata di ben 150 crimini? Bella ed esotica, la trentunenne China era la leader dei Damasos, gruppo d’assalto del Cartello di Sinaloa da cui si staccò portandosi dietro parte dei sicari.
A tradirla è stato il suo vice e fidanzato che, dopo l’arresto, ha patteggiato in cambio di informazioni sulla donna ma che ha parlato di quest’ultima con ammirazione. Per esempio ha raccontato con che coraggio avesse fatto fuori una coppia innocente, il fido aiutante Tyson e le compagne di alcuni narcos. In questa guerra di efferatezze è complicato stabilire chi abbia lo scettro visto che nel panorama figurano narco ladies come la veterana Elizabeth Garza, una delle quindici criminali più ricercate al mondo secondo la Dea.
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Di certo brilla per spietatezza María de los Ángeles Pineda, moglie del sindaco di Iguala e detta Lady Macbeth da quando si è scoperto che è stata lei, in combutta con il marito, a ordinare a polizia e narcos del cartello Guerreros Unidos di far sparire 43 studenti che manifestavano, nel settembre dell’anno scorso.
Arrestata un anno fa, pare che la Pineda fosse una leader di quel cartello, ambiziosissima e di famiglia narco, con ascendente enorme sul marito debole e complessato per la bassissima statura che compensava con palestra e pettinature cotonate. María de los Ángeles è invece piuttosto imponente, benché non raffinata.
Niente a che fare con l’eleganza di quel mito del passato recente che è stata la 55enne Sandra Avila Beltran detta la Reina del Pacifico, del Cartello di Sinaloa, donna intelligentissima al cui charme si ascrive di aver tessuto vincoli tra i narcos colombiani e il Chapo. In libertà da qualche mese dopo otto anni di reclusione, la Reina ha perso molto appeal rispetto a quando, sprezzante e irresistibile, guardava dalle foto che ne immortalavano il carisma. È imbolsita e dimessa, lo sguardo appannato sotto i capelli incanutiti, come di donna rassegnata. Ma non è detto.
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