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Milena Gabanelli e Simona Ravizza per il "Corriere della Sera"
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L’evasore fiscale che non paga le tasse in base alla propria reale capacità contributiva, come è scritto nella Costituzione, perché convinto che è lo Stato a essere un ladro, beneficia di servizi come la sanità, l’assistenza sociale e l’istruzione senza aver contribuito a pagarli.
Per esempio, un ciclo di cure contro i tumori costa 90 mila euro, la Terapia intensiva 2 mila euro al giorno, l’intervento di bypass coronarico 25 mila euro, le scuole elementari, medie e superiori dei propri figli, gli assegni di invalidità, e poi la manutenzione delle strade, la polizia, i servizi comunali, il decoro urbano, eccetera, eccetera.
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Aiutandoci con i documenti presentati al Consiglio nazionale dell’Economia e del Lavoro (Cnel) dal Centro studi «Itinerari previdenziali» di Alberto Brambilla, e relativi alla dichiarazione dei redditi del 2019 (ultimi dati disponibili), ecco chi oggi paga per i servizi che riceviamo.
Contribuenti e costo dei servizi essenziali
La sanità costa 115,45 miliardi l’anno che, divisi per 59,8 milioni di cittadini italiani, fa 1.930 euro a testa. Le invalidità civili e di accompagnamento, gli assegni sociali, la maggiorazione sociale delle pensioni, il reddito di cittadinanza, e in generale quello che va sotto il cappello dell’assistenza sociale, valgono 114,24 miliardi, ossia 1.910 euro pro capite.
L’istruzione 62 miliardi, dunque 1.036,5 euro pro capite. Per capire chi paga cosa, però, bisogna considerare il numero di contribuenti, ossia coloro che, poco o tanto, le tasse le versano, cioè 41, 5 milioni di italiani. Sono loro, in proporzione alla capacità contributiva di ciascuno, a farsi carico di bambini, studenti, disagiati.
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Di fatto si tratta di due contribuenti su tre abitanti (il rapporto è di 1,4), che nel 2019 hanno versato 172,5 miliardi di Irpef. Vediamo, per fascia di reddito, quanto viene versato al fisco e in parallelo a quanto ammonta il costo dei servizi ricevuti.
Chi dichiara meno di 20 mila euro: un buco da 151,5 miliardi
All’incirca 23,7 milioni di contribuenti (57%) dichiarano meno di 20 mila euro e versano 15 miliardi di Irpef. Abbiamo già visto che un contribuente corrisponde a 1,4 cittadini, in base al principio che ciascuno ha a carico anche una percentuale della popolazione senza redditi; significa che 23,7 milioni di contribuenti corrispondono a 34,1 milioni di italiani che per la sanità costano 65,8 miliardi.
Per l’assistenza costano 65,1 miliardi, e 35,3 per l’istruzione. In definitiva, i contribuenti che dichiarano meno di 20 mila euro costano allo Stato 166,4 miliardi, e la differenza di 151,7 miliardi ce la deve mettere qualcun altro, ovvero chi dichiara redditi superiori.
Un principio giusto: chi guadagna di più si carica i costi dei servizi essenziali anche per i cittadini con redditi molto bassi, e in questa fascia troviamo i 3,5 milioni di giovani con i contratti precari, i part-time, i sottopagati, chi incassa le pensioni minime. Ma 23,7 milioni sono davvero tanti, ed è evidente che fra loro si nascondono imponenti numeri di lavoratori in nero, che «rubano» ad altri i servizi di cui godono.
Tra 20 e 35 mila euro: autonomi per sanità e istruzione
Il buco da 151,7 miliardi non può tuttavia essere coperto dai 12,3 milioni di contribuenti (29,7%) nella fascia di reddito tra i 20 mila e i 35 mila euro, che versano 56,2 miliardi di Irpef. Corrispondono a 17,7 milioni di abitanti. Per sanità e istruzione costano rispettivamente 34,3 e 18,4 miliardi e sono, dunque, autosufficienti.
Ma non versano abbastanza Irpef per autofinanziarsi anche per l’assistenza (33,9 miliardi), che resta fuori e va quindi a carico delle fasce di reddito successive. In pratica, 36 milioni di contribuenti non riescono a coprire con l’Irpef i servizi essenziali di cui beneficiano.
Il 13% dei contribuenti che paga per l’altro 87%
Tra 35 mila e 100 mila euro ci sono 4,9 milioni di contribuenti, che versano 67,8 miliardi di Irpef, e complessivamente costano per sanità, assistenza e istruzione 35 miliardi. Da qui si può dunque «pescare» 32,7 miliardi.
Oltre i 100 mila euro troviamo circa 502 mila contribuenti, con un versamento Irpef di 33,7 miliardi. Il loro costo per i tre servizi elencati ammonta a 3,5 miliardi, pertanto possono contribuire alla spesa totale per 30,2 miliardi.
Tirando le somme l’incasso Irpef di 172,5 miliardi copre solo per il 60% i costi di sanità, assistenza sociale e istruzione, che complessivamente ammontano a 291,7 miliardi.
I 119,2 miliardi che mancano e le altre imposte
Per far tornare i conti mancano ancora 119,2 miliardi. Vengono compensati dalle altre imposte dirette come l’Irap (25,2 miliardi), l’Ires (35 miliardi) e l’imposta sostitutiva (8,3 miliardi) per un incasso totale per lo Stato di 70 miliardi. I 49 miliardi restanti, poi, possono essere presi dalle imposte indirette tra cui l’Iva (124 miliardi) e le accise.
Ma lo Stato ha poi altre spese: quelle della macchina pubblica, la sicurezza, la viabilità, le infrastrutture, e gli interessi sul debito, per un totale di 870,74 miliardi. Mentre sul fronte delle entrate, oltre all’Iva, può contare sui trasferimenti delle Regioni, i monopoli, ecc., che nel 2019 sono state di 841,44 miliardi. Alla fine resta un deficit di 29,3 miliardi.
L’evasione di massa tra sommerso e capitali nascosti
Conti alla mano, l’Italia non sarebbe messa male, se non ci fosse un debito di 2.730 miliardi e un’evasione stimata ogni anno per 100 miliardi, fra le più alte d’Europa, e che coinvolge tutte le fasce di reddito elencate, a cui si aggiunge il sommerso, su cui si versa zero.
Riuscire a recuperare almeno la metà del dovuto renderebbe possibile una riduzione delle tasse, incluse quelle sul lavoro, che vuol dire migliorare la competitività, i servizi, e ridurre il debito.
Per dare la caccia agli evasori l’amministrazione Biden ha appena dotato l’Irs (l’Agenzia governativa di riscossione americana) di 72 miliardi di dollari, con la certezza di recuperare 40 miliardi l’anno.
Significa che l’amministrazione sa cosa serve per incassare quello che sfugge al fisco. All’Agenzia delle entrate non è stato destinato un euro per la lotta all’evasione. Non è previsto più personale qualificato e amministrativo, ma solo la sostituzione di chi va in pensione e il reclutamento dei dirigenti che da anni mancano.
Le norme non sono stringenti: l’Agenzia non è autorizzata ad accedere alla banca dati della fatturazione elettronica perché il Garante per la Privacy non ha ancora indicato come.
L’Agenzia Riscossione non conosce il saldo in tempo reale del conto corrente di un soggetto che deve saldare una cartella; perciò il 70% dei pignoramenti vanno a vuoto perché su quel conto i soldi non ci sono, ma intanto si innesca una trafila burocratica sul nulla. A causa Covid per un anno e mezzo sono state bloccate le verifiche sul posto.
E quel che non è stato controllato è andato definitivamente perduto. Il solo progetto di recupero evasione in corso è relativo a un programma di intelligenza artificiale finanziato dalla Ue.
Se andrà in porto la manovra in discussione ci sarà una riduzione delle tasse spalmata su tutte le categorie, che porterà ad un minor incasso per 7 miliardi, che andranno ad aumentare il deficit del 2022. Poi si vedrà dove andarli a prendere.
(ha collaborato Alessandro Riggio)