Marco Mensurati e Fabio Tonacci per “la Venerdì- la Repubblica”
Il mondo di Igor il Russo non esiste. Non è in nessun luogo, non ha coordinate geografiche e ideologiche, non tocca terra. Le regole che hanno guidato la sua mano assassina sembrano uscite dalla fantasia pulp del primo Tarantino. Di quelli dove i cattivi fanno i cattivi non per scelta ma per condanna, come nelle tragedie.
E conservano amuleti strani, con i quali parlano e ai quali si confessano: nel caso di Igor, un tamagotchi arancione. Ora che finalmente il killer di Budrio è chiuso in una cella e attende di essere processato per tre omicidi in Spagna e due in Italia, sul tavolo rimane un unico, gigantesco interrogativo. Perché? Perché Igor il Russo, l' alter ego dietro cui si cela il pregiudicato serbo Norbert Feher, ha ucciso?
All' inizio, a chiederselo erano solo i carabinieri di Bologna, che per quasi dodici mesi hanno sbattuto contro questo rompicapo. Ora angustiati dallo stesso enigma sono anche i gendarmi della Guardia Civil che hanno preso Igor la notte del 15 dicembre mentre, ubriaco e stordito, dormiva sotto una quercia, con una pistola stretta in pugno, un coltellaccio legato al collo e una chiave inglese al fianco. Sono rimasti sorpresi, gli spagnoli, nel ricostruire quel suo vagare randagio per giorni in sella alla mountain bike, tra i casolari abbandonati e le grotte della provincia di Teruel.
«Non ha rubato per ottenere un beneficio economico» scrivono, «ma solo per sopravvivere. Ha preso cibo e coperte per difendersi dal freddo. Ha ucciso solo quando si è sentito minacciato». E, dunque, ancora: cosa voleva? Dove voleva andare? Perché tutto quel sangue? Prima dell' ultima fuga, Feher ha ammazzato a colpi di pistola un pastore solo perché aveva scambiato il rumore di una chiave inserita nella toppa della porta con lo scarrellamento di una semiautomatica.
Poi ha fatto fuori i due militari della Guardia Civil intervenuti sul posto dopo gli spari. A quel punto ha gettato la maschera del killer e ha indossato quella del fuggiasco: ha caricato tutto ciò che aveva sul cassone del pick up del pastore e ha imboccato le strade sterrate dell' entroterra aragonese.
Del resto, Igor è «un uomo di 37 anni dalla condotta camaleontica», per usare le parole degli psicologi ingaggiati ai tempi della caccia all' uomo a Budrio dagli inquirenti italiani nel tentativo di decodificarne la complessa personalità e, dunque, provare a prevederne le mosse. Un assassino con «elevate capacità di adattamento in contesti difficili e ostili», abile nello sfruttare risorse «utili alla propria autotutela» e che, quanto a relazioni, sembra «poco incline al confidarsi, incapace di relazioni significative se non fantasticate, idealizzate o semplicemente immaginate».
La sua identità è il nodo cruciale di questa storia. Nel corso della carriera criminale - una scia di sangue lunga quasi vent' anni, cominciata con lo stupro di una minorenne a Subotica, tra Serbia e Ungheria, nel 2001 - ha indossato panni sempre diversi. Ora era "il Ninja" che faceva rapine con arco, frecce e una bandana nera in testa; ora l' eremita che studiava la Bibbia; ora il paramilitare della fanteria a cavallo dell' esercito russo. L' ex detenuto convertito al cattolicesimo. Il lupo solitario delle valli del Mezzano.
Infine il fuggiasco stile John Rambo che vuole "solo" andarsene dall' Italia. Per ogni ruolo un nome diverso, Norbert, Ezechiele, Igor Vaclavic, il Lupo. El Loco. Al suo compagno di cella Luigi Scrima, nel carcere di Ferrara dove finì nel 2010 per alcune rapine, raccontava di donne sudamericane e spagnole conosciute rispondendo agli annunci di Cronaca Vera.
Millantava lunghe corrispondenze epistolari, che nei fatti non erano che due o tre lettere al massimo. Diceva di guadagnarsi da vivere facendo il gigolò per signore anziane, mentre si sa che frequentava spesso le case d' appuntamenti della bassa Ferrarese.
Sì dirà: non è inusuale che un criminale cambi identità. Vero. Ma la differenza, qui, è che per ogni nome e ruolo, Igor modifica anche i comportamenti. Un attore prigioniero della parte. Ed è per questo che, secondo gli inquirenti, per capire chi davvero sia Norbert Feher occorre studiare le cose che si portava sempre appresso. Quattro zaini di tela mimetica, rinvenuti in Spagna, racchiudono il film noir di Igor. Nel primo c' erano giacche, jeans, felpe e biancheria. Nel secondo, il suo amico elettronico: un tamagotchi, funzionante.
Oltre a quattro coltellini da campeggio, una lanterna, una felpa e una medaglia con l' effigie della Vergine del Pilar, un set per cucire con ago e fili, un crocifisso, un rosario, la cassa di un orologio. Un' agenda telefonica di pelle marrone con alcuni indirizzi italiani e una pistola Smith & Wesson con caricatore e sette proiettili.
LE CAMPAGNE IN CUI SI NASCONDE IGOR VACLAVIC
Nel terzo zaino hanno trovato la Beretta rubata al militare ammazzato Victor Caballero Espinosa e quattro mazzi di carte da gioco di Dragon Ball. Gliele regalò anni prima la figlia adolescente di Scrima, le ha conservate fino alla notte dell' arresto.
Nell' ultima sacca, infine, gli attrezzi per sopravvivere: una stazione meteorologica portatile, un piccolo generatore di energia a pannelli solari, un machete, un flacone di lozione antizanzare, alcune lattine di cibo in scatola, una lampada da fronte, il fornelletto da campo, le cartine geografiche della Spagna, dell' Italia e dell' Europa, una telecamera GoPro. E una Bibbia in italiano.
IGOR VACLAVIC - RICERCA CON DRONI
Nel carcere di Ferrara, infatti, Norbert si era convertito al cattolicesimo, scegliendo Ezechiele come nome di battesimo. Dettaglio su cui gli psicologi della procura hanno ricamato parecchio: in ebraico significa "reso forte con l'aiuto di Dio". In realtà, il lupo recitava la parte dell' agnello. Secondo il compagno di cella, quel nome era solo il tributo a un personaggio del film Pulp Fiction. Il serbo era anche fissato con i cartoni animati, diceva che suo padre Jene, a Subotica, glieli aveva vietati quando era piccolo.
Una volta passò una notte intera a fabbricare un rudimentale Gioco dell' Oca.
Igor il killer non coltivava rimorsi, ma sogni da bambino: costruire un camper volante, modificarne uno vero con ali ed eliche per farlo sollevare in aria. Era uno dei pochi argomenti di cui parlava con gli altri detenuti.
Ma gli oggetti che più destano l'attenzione degli investigatori sono i telefonini. Ne ha sempre avuto più d' uno con sé. E aveva a disposizione un pc, un laptop Acer. Gli servivano per potersi connettere a Facebook. Il social network e la sua chat hanno avuto un peso nella parabola umana e criminale di Igor.
Nato a Subotica da una famiglia poverissima, primogenito con due sorelle minori. Scappò di casa giovanissimo per andare a vivere con il nonno, alla scomparsa del quale ha preferito andare a vivere in affitto (pur non avendo i soldi) che tornare alla casa dai genitori, che nel frattempo si erano separati. Prima dell' era di Facebook, i rapporti con i suoi famigliari erano inesistenti. Con la mediazione del social network, invece, Igor trova una maturità nella gestione delle relazioni.
«Dall' analisi dei profili» scrivono i professionisti consultati dagli inquirenti, «le sorelle sembrano impegnate sentimentalmente. Pochissime le interazioni da parte di Vacalvic nei loro confronti. Al contrario, la sorella Silvija commenta spesso i suoi stati: cerca l' interazione con lui ma non sembra ricambiata». In realtà le indagini tecniche eseguite dai carabinieri hanno permesso di andare un passo oltre.
«Chatta in privato praticamente ogni giorno con la mamma Zuzana e la sorella Silvija». Anche loro si sono accorte, con il tempo, di un fatto indiscutibile: Igor è un uomo che ha perso di vista la realtà. «Mente e veicola sistematicamente false informazioni» scrivono i periti, «è un manipolatore con personalità antisociale, che ha bisogno di rimarcare le proprie doti suggerendo la presenza di un Sé grandioso». È cioè afflitto da un "disturbo narcisista della personalità". Patologicamente egocentrico. Incapace di provare empatia. Senza coscienza. Il killer perfetto.