Giulia Villoresi per “il Venerdì di Repubblica”
È un sottogenere del rap, ma non c'entra nulla col rap. Punta tutto sull'immagine, ma odia l'apparenza. Il suo spirito è sia ermafrodita che maschilista. Il sound è sia tamarro che ricercato. A te, Boomer, fa schifo: ma sicuro piace a tua figlia/o, sicuro è da un po' che sta in fissa col trap. La trap (o il trap: per la Treccani vanno bene entrambi) nasce nei primi anni Duemila, quando una gang di Atlanta, la Black Mafia Family, decide di riciclare i proventi del traffico di droga avviando un'etichetta musicale hip hop.
Dopodiché, in una decina d'anni, la musica delle trap house - le case dove si produce e si vende droga - esce dai confini di Atlanta e conquista il mondo. Oggi Beyoncé, Lady Gaga e Lana Del Rey cantano brani trap, la Black Mafia Family benedice nuovi talenti dal carcere, e i discendenti di quei primi aedi del narcotraffico contagiano la cultura giovanile come non accadeva dai tempi del rock 'n roll. Con guadagni che, almeno in Italia, superano quelli degli altri musicisti.
Finalmente ricchi Lo racconta un libro appena pubblicato da Hoepli, progettato come un vademecum per fan e studiosi del genere: Trap Game (pp. 176, euro 16,90). Scritto da un giovanissimo esperto di cultura trap, Andrea Bertolucci, vanta i contributi di sei trapper italiani, da Lazza a Maruego, il primo ad aver introdotto in Italia l'autotune. Si tratta di un software sviluppato nel 1997 per mascherare i difetti della voce: oggi è il marchio di fabbrica dei trapper, che ne esagerano le distorsioni per creare sonorità aliene e disturbanti.
D'altronde, l'indole della trap è la dissacrazione. Innanzi tutto verso l'odiato genitore, l'hip pop: a parte rare eccezioni (Achille Lauro), nessun trapper italiano si sente erede di Neffa o dei Sottotono. Come dice Emis Killa, rapper della old school, «noi facevamo a gara a chi era più povero, loro fanno a gara a chi è più ricco». Quasi tutti figli delle borgate dormitorio di Roma, Milano e Napoli, i trapper hanno fede solo nel denaro. E lo manifestano in vari modi: Sfera Ebbasta presentandosi con due Rolex al concertone del Primo maggio. E poi, come tutti i suoi colleghi, ha i denti coperti d'oro e pietre preziose: i cosiddetti grillz, uno dei must dell'estetica trap (tanto che qualche anno fa è nata Myda, un'azienda italiana specializzata in gioielli dentali).
Al bando i contenuti Immorale? In un mondo fiaccato dalle crisi economiche e pervaso dal senso di resa, in cui l'unico modello di affermazione è il consumo e dove onesto fa rima con modesto (Marracash e Gué Pequeno), i trapper cavalcano creativamente l'onda nichilista. Aboliscono i testi conscious («oggi non c'è più bisogno di contenuti: non ti dico niente, ma te lo dico in modo figo», Maruego). Sfregiano costantemente gli hater (Mentre mi odi sto comprando scarpe tu invece rimani seduto a guardare, Sfera Ebbasta). Inneggiano al capitalismo («I soldi per me sono un fine», Lazza).
E inventano parole formalmente accreditate dall'Accademia della Crusca. Il nome di Maruego, per dire, compare più volte in una pubblicazione sulla lingua italiana nel mondo promossa dal Ministero degli affari esteri (commento di Maruego: «un po' come Maometto che scrisse il Corano senza saper né leggere né scrivere»). Ad affascinare gli accademici è l'assenza di regole linguistiche e il suo paradossale effetto normativo sulla lingua: secondo un sondaggio di skuola.net il 38 per cento dei ragazzi tra gli 11 e i 25 anni usa la trap come fonte di ispirazione linguistica. È una fonte ricca di inversioni sillabiche (chiudi quella ccabo), di rime e troncamenti indebiti: Giro in ma', giro a caso, gira cosa? Ruben Sosa (Quentin40).
E, soprattutto, di neologismi creati mixando parole di lingue diverse: inglese, ma anche tanto francese e arabo (la trap è l'unico settore musicale aperto agli italiani di seconda generazione: Ghali è tunisino, Og Eastbull rumeno, Bello Figo ghanese, Laïoung sierraleonese, etc.). I neologismi, in effetti, sono così importanti, e così ostici ai profani, da conferire alla trap una sfumatura da iniziati. Qualche esempio: bufu, ora nella Treccani, viene dall'espressione By Us Fuck U ("per noi, vaffanculo"); flexare (da flex, ostentare); skrr: è il rumore delle ruote che sgommano e può significare fuga, eccitazione, velocità.
Nuove Ferragni Poi, tra le grandi novità, c'è il sodalizio creativo con i brand. Secondo un'indagine di Macy' s, negli ultimi vent' anni il nome Gucci è comparso in 1.067 brani hip hop. Seguono Nike, Prada, Versace, Adidas e altri. Il rapporto con la moda è tale da aver dato vita a una nuova figura professionale: il brand partnership manager. Prima, se un marchio voleva collaborare con un artista, contattava il suo management, ma la comunicazione non funzionava bene: l'azienda non parla la lingua dei rapper, e viceversa.
Oggi, grazie al brand manager (il più noto in Italia è Filippo Agostinelli detto "brand warrior"), i maggiori marchi di moda (e ultimamente anche Pornhub e i servizi bancari online) hanno delle partnership con artisti trap. È così che nasce il cosiddetto streetwear di lusso: street perché il trapper proclama la sua fedeltà alla strada soprattutto attraverso l'immagine.
Quindi jeans, tute e magliettone, ma di lusso. Le nuove Chiara Ferragni si chiamano Sfera Ebbasta, Achille Lauro & Co (le trapper donne sono in netta minoranza: da questo punto di vista il genere è incredibilmente conservatore). Si tratta di un nuovo tipo di abbraccio tra arte e capitale. Che non si nasconde più: ostenta. L'obiettivo, tanto, è sempre quello: uscire dalla melma e comprare una villa alla mamma (Ghali).