Lorenzo Cremonesi per il “Corriere della Sera”
Alla fine sono dovuti arrivare gli americani. Le brigate di Misurata e Tripoli non ce l'hanno fatta con le loro sole forze a sconfiggere i jihadisti di Isis asserragliati nella loro roccaforte a Sirte. Nel 2011 erano stati soprattutto i francesi a garantire la fine di Gheddafi, poi linciato alle periferie della città. E oggi continua la serie di interventi stranieri a fianco delle milizie figlie della «rivoluzione assistita». Una mossa, che come già le precedenti, può rivelarsi un boomerang in questo Paese diviso in centinaia di frazioni pronte a cambiare bandiera e partito alla prima incognita.
Ma intanto andiamo a vedere cosa capita sul terreno. Ieri è stato da Tripoli lo stesso premier sostenuto dall' Onu, Fayez Serraj, ad annunciare l'inizio dei bombardamenti americani. La notizia ha ricevuto conferma immediata dal Pentagono. «Il primo raid è stato condotto contro una località specifica di Sirte, causando gravi perdite ai nemici», ha detto Serraj, aggiungendo comunque che non ci sono truppe straniere sul terreno per «non violare la nostra sovranità nazionale». Da Washington dichiarano che seguiranno altri raid.
Va comunque chiarito che ormai da tempo un piccolo nucleo di teste di cuoio americane e inglesi sono presenti a Misurata per fornire sostanzialmente intelligence raccolta via droni e consigli tattici. «Le truppe anglo-americane non hanno compiti di combattimento a Sirte», ci dicevano poche settimane fa i responsabili delle milizie di Misurata.
Due capi milizia che ieri sera si trovavano a Sirte confermano al Corriere per telefono satellitare che i raid americani sono stati «abbastanza limitati» e sembra si siano concentrati sui palazzi di Ouagadougou, il poderoso centro congressi voluto a suo tempo da Gheddafi quale luogo di incontro e simbolo della cooperazione tra la sua Libia e Africa.
Pare così giunto l' ultimo capitolo del lungo assedio di Isis a Sirte. Un anno fa sembrava che da qui il Califfato potesse crescere e conquistare l' intero Paese. Tra i suoi oltre 6.000 jihadisti si contavano soprattutto giovani tunisini (circa 3.000), siriani, iracheni, afghani, alcuni ex gheddafiani libici desiderosi di rivalsa, ma anche nigeriani, sudanesi, uomini legati a Boko Haram.
La loro forza deriva soprattutto dalle debolezze libiche, riassunte nelle divisioni interne, dalle mille milizie litigiose, sospettose e in lotta tra loro per il controllo del petrolio. In marzo pareva addirittura che Isis potesse conquistare Bengasi verso est e lambire Misurata a ovest.
Nelle sue mani stava cadendo anche il lucroso traffico dei migranti verso le coste italiane. La svolta è avvenuta il 12 maggio, quando Serraj è riuscito a unire alcune milizie di Tripoli con la maggioranza di quelle molto più forti a Misurata. In poche settimane hanno costretto Isis a ritirarsi per oltre 200 chilometri di deserto. Un mese fa l' ala libica del Califfato era data per spacciata.
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«Ancora pochi giorni ed è finita», ci dicevano dalle prime linee. Serraj sperava allora di poter unire alle sue forze quelle di Khalifa Haftar, il generale che funge da ministro della Difesa per il governo di Tobruk (che non riconosce Serraj), e Ibrahim al Jadran, che comanda i gruppi armati di guardia agli impianti petroliferi e terminali tra Brega, Ajdabiya, Ras Lanuf e i giacimenti nel deserto della Cirenaica. Quest' ultimo ha offerto di cooperare con Serraj, ma non Haftar, che è sostenuto dal governo francese, oltre che dall' Egitto e dagli Emirati. Intanto le milizie di Misurata si stavano dissanguando. I loro morti sono ormai 350, i feriti oltre 2.000.
Sconosciuto il numero dei caduti di Isis. Certo è che questa è una guerra senza prigionieri. I jihadisti si fanno saltare in aria quando si sentono perduti. Hanno perso il controllo del porto di Sirte e della costa. Un paio di volte alcuni di loro hanno provato a fuggire via mare su gommoni, ma sono stati colpiti dai guardiacoste di Tripoli.
Al momento controllano ancora circa cinque chilometri quadrati nel centro della città, tra cui l' ospedale e la zona dello Ouagadougou, che è dotato di un vasto dedalo di sotterranei in cemento armato. Ma hanno minato ogni palazzo, ogni via, ogni scantinato. I loro cecchini sparano e scappano tra le macerie. Gli assedianti sono stanchi di perdere uomini. Ora sperano che i bombardamenti americani aiutino a velocizzare la fine dei combattimenti.