Marco Zatterin per “la Stampa”
Ci sono buoni lavori in posti difficili che, d' un tratto, diventano imprese complesse in luoghi quasi impossibili. «Oltre l' orrore per la tragedia, l' altra sera ho visto 10 anni di attività e mediazione culturale finire nello scarico del bagno», confessa Sara Corsius, coordinatrice del VK, l' unica sala da concerti rock di Molenbeek, la «commune» di Bruxelles più trafficata dai jihadisti.
È un Bataclan meno blasonato, però si è guadagnato in 26 anni la fama di calamita per i suoni alternativi e di motore per l' integrazione. A fine mese è attesa Carmen Consoli. Suonerà? «È il palco più sicuro del mondo - risponde la manager -. Chiederò alla polizia e agli artisti, decideranno loro: per quanto mi riguarda, lo show, e il dialogo, devono continuare».
TERRORISMO - ARRESTI IN BELGIO
Al sabato delle retate è seguita la domenica dei ragionamenti. Gli inquirenti confermano che due dei terroristi di Parigi sono francesi e vivevano a Molenbeek. L' attentatore in fuga, l' ottavo, è belga. Sette persone sono state fermate nel distretto della grande Bruxelles, 80 mila abitanti, maggioranza islamica, una storia di terroristi che fa paura: va da Abdessatar Dahmane, sicario del comandante Massoud (2001), a Ayoub El Khazzani, l' uomo dell' attentato mancato al Thalys in agosto, passando per Amedy Coulibaly (Charlie Hebdo), Mehdi Nemmouche (Museo Ebraico di Bruxelles) e le menti della strage di Madrid del 2004.
POVERTÀ ED EMARGINAZIONE
Terra fertile per il radicalismo, rileva il governo. Molenbeek è il secondo comune più povero e giovane del Belgio, con un disoccupato ogni due impiegati. «In certe zone la vita è difficile - concede Teresa Butera, direttrice del centro Casi-Uo che si occupa, fra l' altro, dei 1800 italiani rimasti in zona -. Sbagliato dire che qui si formano i jihadisti, in realtà si crescono giovani senza futuro».
E il terrorismo adora l' emarginazione. Molenbeek è da sempre «il luogo degli ultimi arrivati», ribadisce la signora Butera. Italiani, spagnoli, marocchini. Infine turchi e asiatici. «Un ghetto», a tratti. «In un simile contesto - argomenta Annalisa Gadaleta, barese, assessore alla Cultura con la casacca Ecolo -, le idee estremiste hanno le gambe lunghe».
Ci sono angoli «dove è facile nascondersi». Gli affitti «sono bassi e i proprietari poco fiscali», insiste la verde che, viste le prime notizie da Parigi, ammette di aver pensato «vedrai che arrivano da noi». Ed è un problema nel problema: «La gente si sente accusata di nuovo, sale il disagio e il nostro lavoro si fa più difficile».
«TRADITI DAI POLITICI»
In strada, chi parla, la pensa così. Al termine della preghiera del pomeriggio, davanti a una delle 15 moschee del comune, si ferma El Asri Beki, un signore anziano che esprime rabbia contro i «finti musulmani» che hanno attaccato Parigi: «Se uno grida "Allah è grande", non rispetta le regole del Profeta, perché non c' è un verso del Corano che giustifichi l' uccisione di altri uomini».
Al suo fianco un uomo sulla quarantina inveisce contro i jihadisti e la politica con la stessa energia, i primi «perché ingenerano odio», la seconda perché «danno il lavoro agli stranieri». Stranieri? E lei? «Io sono di Bruxelles!». Tira vento.
Fortuna che non piove. Ahmed è disoccupato, stizzoso coi politici: «Siamo stati traditi». Ce l' ha coi giornalisti che etichettano Molenbeek «capitale del jihadismo». Come il borgomastro, la liberale Françoise Schepmans, per la quale «la banlieue di Parigi non ha la stessa qualità di coesione sociale che abbiamo noi».
Al quotidiano Dh, la Schepmans confida di non essere sorpresa che dei terroristi siano passati per il comune e, tuttavia, fatica a credere che siano del posto: «È un territorio variegato». I jihadisti le sembrano infiltrati in un mondo dalle troppe patologie. «Non siamo un covo di estremisti». Del resto c' è Meera Ghani, pakistana e musulmana, sposata con uno svedese, che vive a Molenbeek da 6 anni e giura che «mi sento sicura anche se giro da sola la notte». La sostiene Sara Corsius e il Vk, i suoi 18 dipendenti e i 50 volontari che lavorano sull' integrazione. «Noi siamo un esempio di integrazione», ammette.