Giampiero Mughini per Dagospia
Caro Dago, campo del fatto di essere un professionista a partita Iva, uno che emette fatture a chi ha commissionato il mio lavoro. Per la cronaca, faccio parte del 4 per cento di italiani che pagano il 32 per cento dell’Irpef totale incassata dal nostro Paese. In linea di massima il fisco italiano non dico dovrebbe farmi una targa, ma di certo non avvelenarmi la vita com’è successo con l’introduzione della fattura elettronica. Non so voi, ma il mesetto abbondante di tempo che io dedico alla mia amministrazione (e a parte il lavoro del mio commercialista) è aumentato nettamente.
Stamane mi ero messo a fatturare un lavoro fatto ieri a Pienza, solo che il sistema non riconosce l’intestatario della mia fattura. Scrivo ai miei committenti e loro cortesissimi mi mandano l’intestazione completa. Rifaccio la fattura e questa volta tutto funziona. Ci ho messo il doppio del tempo. La fattura elettronica è servita a scovare del lavoro nero in Italia? Spero proprio di sì, non certo per quanto mi riguarda dato che tot fatture di carta facevo prima e tot fatture elettroniche faccio oggi.
Il brutto per me viene dall’altro lato della medaglia, e a parte il buon 20-30 per cento in più che devo pagare al mio fidatissimo e bravissimo commercialista. Io o le fatture elettroniche le faccio o non vedo il becco di un quattrino. Ma se sono in viaggio (e di viaggi di lavoro ne faccio una cinquantina all’anno) e compro un panino o un caffè o una bottiglietta di acqua minerale di certo non mi fanno una fattura elettronica, e alla fine di un anno sono migliaia di euro che non posso mettere in detrazione come invece la legge mi autorizza a fare. Meno che mai se commissiono un qualche piccolo lavoro, chi me lo fa mi risponde che non tiene più la partita Iva.
L’altro giorno ero alla stazione di Milano, sono entrato alla libreria Feltrinelli e ho comprato la mia razione di giornali cartacei, giornali che ovviamente servono alla mia produzione del reddito. Prima dell’introduzione della fattura elettronica bastava che la Feltrinelli mi desse uno “scontrino parlante” ovvero una ricevuta su cui era indicata la mia partita Iva. Adesso non basta più.
Alla Feltrinelli ci si sono messe in due per tentare di farmi una fattura elettronica. Niente da fare, non funzionava. Ebbene in un anno di lavoro, io spenderò almeno 500 euro per acquisto di giornali in giro per l’Italia e non ne potrò dedurre nemmeno un euro. Se il fisco fosse una cosa seria, funzionerebbe una norma secondo cui puoi dedurre l’1 per cento del tuo fatturato anche se non puoi documentarlo (per le ragioni addotte prima). Solo che questa apparirebbe come una norma che avvantaggia “i ricchi” e dunque niente.
E’ un Paese atto ai cialtroni, fatto a loro misura. Mi telefona e poi arriva a casa mia un romano di nome Giulio Borgogoni. Mi aveva telefonato chiedendomi di potermi fare una video/intervista per non so quale canale del web. Arrivano a casa mia in quattro o cinque, fra cui spicca una assistente di fragorosa bellezza. Armeggiamo per oltre un’ora. Il giorno dopo faccio la mia brava fattura elettronica.
Passa un mese e non succede niente. Mando un messaggio all’assistente chiedendo che ne è stato della mia fattura. Mi risponde che si informerà immantinente. Passano altri quindici giorni e non succede niente. Rimando un messaggio alla pin up. Mi risponde che non lavora più da Borgognoni, di cui mi fornisce il numero di telefono. Mando un terzo messaggio. Borgognoni mi risponde immediatamente dicendo che provvederà all’istante. Sono passati 20 giorni e non succede nulla.
Mi rivolgerò a un avvocato perché faccia emettere un decreto ingiuntivo a carico del prode Borgognoni. So già come andrà a fine nel migliore dei casi. A decreto ingiuntivo emesso risulterà che il mio debitore non possiede neppure il laccio con cui allacciarsi le scarpe. Mi era già successo qualche anno fa, e ci avevo rimesso una ventina di milioni che mi dovevano. Altro che fatture elettroniche. E’ l’Italia, bellezza.
Giampiero Mughini