1- METTI INSIEME NAPOLITANO, VIOLANTE, VIGNA, CASELLI, SCALFARI, ZAGREBELSKI, CORDERO, ETC. PER L’APPASSIONANTE TRATTATIVA STATO-MAFIA E CAPISCI PERCHÉ SIAMO UN PAESE RIVOLTO ALL’INDIETRO, E SPIEGA PERCHÉ NON SI COMPRANO PIÙ I GIORNALONI - 2- L’ASSENZA DI BUNGA BERLUSCONI DALLA SCENA POLITICA HA MANDATO IN CORTO CIRCUITO IL FRONTE DEI MAGISTRATI CHE AVEVA MESSO NEL MIRINO IL SUO GOVERNO D’AFFARI - 3- VIOLANTE DENUNCIA “L’ATTACCO POLITICO IN CORSO AL RUOLO DEL QUIRINALE E AL GOVERNO” E ATTACCA IL “PARTITO DEI GIUDICI” PARLANDO DI “POPULISMO GIURIDICO”, UN “BLOCCO CHE FA CAPO AL FATTO, A GRILLO E A DI PIETRO”, COMPRESA LA TV DI SANTORO - 4- IN TILT LA SINISTRA DI CARTA. EZIO MAURO TEME L'IRA DI SCALFARI: CHE FARE? - 5- IDEM IL PD DI BERSANI CHE DIFENDE BELLA NAPOLI MA NON VUOLE METTERSI CONTRO I PM - -

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1- SCENE DI LOTTA FRA TOGHE ALL'OMBRA DEL QUIRINALE (CON IL CAV. IN TRIBUNA)
Stefano Di Michele per "Il Foglio"

pulcinella napolitanopulcinella napolitano

Se il Cav. non c'è, ora i giudici fanno da sé? Nell'estate luciferina dei 40 gradi all'ombra e della "partita mortale" (allerta Fatto) in corso, improvvisamente le voci più alte si levano dal fronte che sembrava, se non compatto, almeno civilmente schierato - non si erano forse tanto amati, ma di sicuro si erano molto sopportati. Adesso, più niente.

La lettera - a gradazione da anticiclone subsahariano - spedita da Gian Carlo Caselli al Corriere, per replicare a un'intervista dell'"ex collega" Pier Luigi Vigna, alle sue "scontate banalità", è di quelle destinate a lasciare il segno.

LUCIANO VIOLANTELUCIANO VIOLANTE

Vigna aveva invocato "una netta separazione tra magistratura e politica... altrimenti si può diffondere l'idea che la magistratura abbia degli obiettivi politici e che quindi agisca per favorire o sfavorire questa o quella for- za politica". E come "caso emblematico" - dice Caselli: "Acrobatico esempio" - cita l'inchiesta sull'ex presidente della provincia di Palermo, Francesco Musotto (poi assolto).

Caselli rivendica il lavoro svolto allora dalla sua procura, accusa Vigna di "attribuirmi diffamanti obiettivi politici" e di aver ricevuto "quasi un regalo di compleanno" quando il governo del Cav., con un'apposita leggina, "prodromica a quella contro la mia persona", prorogò il suo mandato all'Antimafia. L'assenza del Cav. dalla scena politica pare mandare sempre più in corto circuito il fronte che - con maggiore o minore ardore - aveva fronteggiato la sua lunga avventura politica. E dall'altra parte, ecco Luciano Violante che sulla Stampa prende ancor di più le distanze dall'antico "partito dei giudici" parlando di "populismo giuridico", un "blocco che fa capo al Fatto, a Grillo e a Di Pietro" - e pure trasmissioni "come quelle di Santoro" vengono evocate - denunciando "l'attacco politico in corso al ruolo del Quirinale e al governo".

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Ma c'è un'altra presa di posizione destinata a far rumore: quella di Marcello Maddalena, procuratore generale di Torino, che sul Corriere polemizza duramente con l'attuale uso delle intercettazioni, chiedendo una nuova legge. "Quel che dico può non piacere ai giornalisti", mette le mani avanti Maddalena, ma "non c'è il minimo dubbio: le intercettazioni non penalmente rilevanti non dovrebbero essere diffuse. Mai".

Il processo, aggiunge, "non viene svolto per dare materiale alla cronaca, ma per tutelare dei valori costituzionali che sono rappresentati dal codi- ce penale. Ovviamente, nei limiti stabiliti, ci deve essere un momento di pubblicità. Ma con limiti precisi. Altrimenti facciamo il Grande Fratello e mettiamo tutti sotto controllo".

Giancarlo CaselliGiancarlo Caselli

Ma c'è altro: sullo scontro tra Quirinale e procura di Palermo, se da un lato i pm "hanno interpretato correttamente e in buona fede la normativa", dall'altro "il Quirinale ha le sue ragioni quando di- ce che non è concepibile che siano inter- cettate le conversazioni del presidente della Repubblica".

E con Maddalena, anni fa, proprio Marco Travaglio scrisse un libro che fece molto rumore: "Meno grazia, più giustizia" - da molti all'epoca giudica- to quasi come un manifesto del giustiziali- smo: insospettabile di codardia. Lo scontro con il Quirinale sta aprendo inaspettate crepe - il velenoso sospetto di vigliaccheria per chi non si schiera pare aver provocato l'effetto contrario a quello sperato. Ieri, debordante Travaglio contro Scalfari che difende Napolitano, mentre i lettori scrivono per rilevare come "dalla Repubblica sia scomparsa la firma di Ezio Mauro": forse pure quelli di Largo Fochetti sono ormai persi alla causa.

eugenio scalfarieugenio scalfari

2- FONDATORE O AFFONDATORE? IL "CORAZZIERE" SCALFARI NON CONVINCE NEANCHE I LETTORI DI REPUBBLICA
Laura Cesaretti per Il Giornale

Esulta Il Fatto, perché il nuovo Arcinemico Eugenio Scalfari, reo di aver difeso Napolitano e «attaccato i pm», ora sarebbe «scaricato da tutti». Un appestato, praticamente.
Per la sontuosa occasione fornita da questo scontro fratricida tra giornali-partito della sinistra (o presunta tale, in molti casi), Marco Travaglio si dilata e scolpisce la propria firma ai piedi di un'articolessa di proporzioni scalfariane: una colonna in prima, sei a pagina 4 e - per chi riesce ad arrivare alla fine - altre tre colonne a pagina 5.

MARCO TRAVAGLIOMARCO TRAVAGLIO

Tutte dettagliatamente impiegate per smontare, con minuzia da verbale di questura, le tesi del Fondatore. Il contorno non è da meno, basta un rapido florilegio di titoli per darne conto: «Repubblica smentita da Colle e Procura»; «Il Fondatore sconcerta i lettori»; «Mio fratello Giovanni non coprì i politici» (immancabile intervista alla sorella di Falcone); «Tutti i successi della procura contro la mafia» (immancabile intervento apologetico di Gian Carlo Caselli);

«Passera invoca il bavaglio al più presto»; «Scalfari, quante bugie»; «Ipocrita, talebano e altri insulti: attacchi personali a Zagrebelski, ha osato criticare il presidente», e giù un elenco delle firme di pericolosi sovversivi che hanno osato criticare l'ex presidente della Consulta, da Giuliano Ferrara a Francesco Damato a Luciano Violante a Emanuele Macaluso.

NAPOLITANO INGROIANAPOLITANO INGROIA

Dimenticando l' «insulto» più memorabile e definitivo, quello con cui Cossiga, nel '91, aveva fulminato con tocco dostoievskiano il pensoso giurista sabaudo, fin d'allora impegnato a demolire presidenti della Repubblica: «Quel principe ucraino». Dal canto suo, Repubblica si tiene sul sobrio, mascherando le ferite dello scontro interno: la vicenda Colle-pm finisce a pagina 12, in una cronaca che dà conto del «duello tra procura di Palermo e Quirinale sui nastri da distruggere e sull'iter che portò al conflitto» e con un retroscena del quirinalista Umberto Rosso che evoca la famosa «lettera dell'Avvocatura per evitare di andare alla Consulta», dando sostanzialmente ragione a Napolitano (e al Fondatore).

PRIMO PIANO DI ANTONINO INGROIAPRIMO PIANO DI ANTONINO INGROIA

Poi ci sono i giornali del Pd: e qui Europa, ala lib e lunga coerenza garantista, punzecchia nell'editoriale del direttore Stefano Menichini i dirimpettai dell'Unità, ala lab e garantismo a corrente alternata, che per troppo tempo sono apparsi «esitanti nel comprensibile timore di dover mettere in discussione una tradizionale solidarietà con i magistrati». Oggi Menichini dà loro il benvenuto (dopo due mesi, sottolinea) nel fronte di chi denuncia che, dietro la montante campagna contro Napolitano, c'è una «operazione politica ad ampio spettro», alimentata dai «veleni fuoriusciti dall'indagine palermitana».

LIBERTA E GIUSTIZIA GUSTAVO ZAGREBELSKY jpegLIBERTA E GIUSTIZIA GUSTAVO ZAGREBELSKY jpeg

Quanto all'Unità, il giornale diretto da Claudio Sardo intervista il costituzionalista Valerio Onida: «Napolitano ha fatto benissimo, non lo dico io ma la Costituzione». E poi c'è un brillante elzeviro di Francesco Cundari, firma di punta del giornale, sul «tradimento dei liberali», nel quale si denuncia il dilagare (anche sui giornali della «borghesia liberale», Corriere in testa) dell' «uso intimidatorio, ricattatorio o semplicemente denigratorio dei verbali di intercettazione», ormai divenuti «uno degli strumenti più utilizzati nella lotta per il potere».

ANTONIO DI PIETROANTONIO DI PIETRO

Peccato che poi, in prima pagina, il titolo più evidente smentisca nei fatti le molte parole del nuovo corso garantista del centrosinistra: «Intercettazioni, il Pd: ora non si cambia. Irrealistica una riforma a fine legislatura» (a inizio legislatura, peraltro, al Pd sembrava altrettanto irrealistica). La paura di quel coacervo di «dipietristi, civici, operaisti e corteggiatori di Grillo» che si stanno assemblando per dare la caccia ai voti del Pd (come denuncia un retroscena sempre sull'Unità) nel nome del «populismo giudiziario» (Violante dixit), spinge alla fine il Pd a bloccare, con l'alibi del solito Berlusconi, ogni tentativo di riforme sgradite ai pm militanti, e ai loro aedi.

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