Paolo Biondani e Luca Piana per "l'Espresso", in edicola domani
ROBERTO FORMIGONI IL PIRELLONETra gli amici più stretti di Roberto Formigoni c'è un club di fedelissimi che vale un tesoro. Fanno parte della cerchia ristretta dei big di Comunione e liberazione. Sono diventati milionari partendo dal basso. Hanno svariate proprietà e imprese in Italia, ma gestiscono gran parte dei soldi tramite società anonime e conti esteri. E sono molto bravi a fare affari soprattutto nel settore più assistito dai finanziamenti pubblici gestiti dalla Regione Lombardia: la sanità privata.
Nel circolo dei ricchi amici del governatore Formigoni, i più chiacchierati oggi sono Piero Daccò e Antonio Simone. Il primo è in carcere dal 15 novembre per lo scandalo dei fondi neri del San Raffaele. Simone invece è inciampato nell'indagine scivolando su un bonifico di 510 mila euro: soldi che Daccò gli aveva girato su un conto di Praga, attraverso un fiduciario svizzero che nel frattempo ha vuotato il sacco. Entrambi si proclamano innocenti. Per ora la Procura ha chiuso solo il capitolo iniziale della maxi-inchiesta.
I verbali più scottanti sono ancora segreti. In attesa delle prime verità giudiziarie, che solo i magistrati potranno accertare nei processi, "l'Espresso" ha ricostruito la storia economica dei due uomini d'oro cresciuti all'ombra della politica. E i legami con altri personaggi del sistema di potere ciellino, come loro vicinissimi al presidente Formigoni. Il dato fondamentale, il più vistoso, è che Daccò e Simone fanno affari d'oro, insieme, da più di dieci anni. Nel ventennio di Formigoni si sono divisi più di 30 milioni di euro, ma la cifra totale, compresi gli investimenti tuttora in corso, potrebbe superare (e di molto) quota 50 milioni.
Nel grande giro lombardo i due ciellini millantavano consulenze e mediazioni con almeno tre grandi gruppi della sanità privata, tutti accreditati (e quindi rimborsati con fondi pubblici) dalla Regione Lombardia: San Raffaele, Fondazione Maugeri e Ordine dei Fatebenefratelli. Quando si arrivava a un contratto, questo era intestato al solo Daccò, che poi girava circa un quarto della somma a Simone, ma con una fattura separata, segno di un lavoro autonomo. La Guardia di Finanza ha trovato le prime tracce dei due tesoretti analizzando i conti esteri che secondo l'accusa sono serviti a far sparire i fondi neri del San Raffaele.
Questo pasticcio finanziario ora sta togliendo il sonno a un personaggio del calibro di Antonio Simone. Che non è un ciellino qualsiasi: è uno dei cervelli che hanno creato il Movimento Popolare, lo storico braccio politico di Cl. Dopo l'elezione di Formigoni, l'amico di entrambi Piero Daccò è il primo a inserirsi nel sistema della sanità lombarda: riesce a strappare qualche consulenza all'Ordine dei Fatebenefratelli, l'ente religioso proprietario di strutture sanitarie e di immobili dall'Italia al Sudamerica. Poi nel 2002, Daccò e Simone riescono a conquistare un nuovo cliente.
È la Fondazione Maugeri, un altro colosso privato che ha lo status di istituto scientifico ed è specializzato nella riabilitazione. I nomi dei due ciellini non compaiono nei contratti. Di fatto però è Daccò a fare lobby in Regione. S'impegna a tal punto che la nuova normativa che dal 2007 finanzia le fondazioni private con soldi pubblici viene ribattezzata perfino dai tecnici ciellini con il suo nome: "legge Daccò"; ben 176 milioni distribuiti a istituti soprattutto a carattere religioso.
Intanto la Maugeri paga consulenze milionarie a società estere. Alcune delle quali farebbero capo proprio a Daccò. Che a sua volta avrebbe girato circa un quarto dei ricavi ad altre imprese straniere. Controllate da un suo "consulente": guarda caso, il solito Simone.
Il capitolo finale dell'avventura economica dei due businessman ciellini è documentato dagli atti ormai depositati dai pm con la prima richiesta di giudizio immediato sul San Raffaele. «Almeno dal 2006 e fino al 2011», secondo l'accusa, Daccò si fa versare pacchi di soldi usciti in nero dalle casse della sempre più indebitata Fondazione di don Verzè: 957 mila euro se li fa portare «in contanti» nello studio del suo fiduciario di Lugano, Giancarlo Grenci; altri 7 milioni li incassa con bonifici giustificati da «fatture false», sempre secondo i pm, intestate a società-paravento con base da Madeira al Lussemburgo; ulteriori 35 milioni li ottiene vendendo al San Raffaele, «per un importo del tutto sproporzionato», un aereo Challenger 604, intestato alla Assion Limited, l'ennesima scatola straniera.
Nel conto sono compresi anche i 2 milioni sborsati dal San Raffaele per acquistare un secondo velivolo Bombardier con una mediazione ritenuta «inutile» e «fasulla». E proprio qui spunta Simone, che riceve i suoi 510 mila euro a Praga. Tirando le somme, se ai fondi neri del San Raffaele si aggiungono i compensi pagati da altre fondazioni sanitarie private, il bilancio si fa pesante: Simone risulta aver intascato almeno 8 milioni di euro, Daccò circa il triplo.
A Formigoni personalmente, beninteso, non si può attribuire alcun reato. Dal ciellino Daccò si è limitato a farsi regalare vacanze in yacht in Costa Smeralda e viaggi in aereo ai Caraibi, ma fino a prova contraria non immaginava che il suo amico si arricchisse con fondi neri e fatture false.
Ricostruendo questi affari segreti, però, ora è un po' più chiaro come funzionava davvero il modello di sanità nella Lombardia del governatore celeste: da una parte gli ospedali pubblici che faticano a sopravvivere ai tagli; dall'altra alcune strutture private, quelle sponsorizzate da Cl, che riescono invece a moltiplicare i rimborsi pubblici, fino al record di 450 milioni di euro all'anno concessi al San Raffaele; e in mezzo i consulenti di comprovata fede ciellina, che intascano percentuali milionarie su conti esteri a prova di fisco.