Flavio Pompetti per "il Messaggero"
La Cina è il maggiore fattore di rischio per la sicurezza nazionale degli Usa. Nel suo intervento ad un convegno digitale organizzato dall' Aspen Institute, il direttore del controspionaggio statunitense William Evanina ha confermato che non ci sarà un sostanziale cambio di atteggiamento tra l' amministrazione Trump e quella Biden riguardo ai rapporti con il principale nemico economico, commerciale e militare che gli Usa si trovano ad affrontare.
L' intelligence degli Stati Uniti ha assistito ad una immediata intensificazione dell' attività cibernetica di matrice cinese dopo il voto dl 3 novembre, tutta diretta a costruire una rete di comunicazione di identità dissimulata, intorno a Joe Biden, i suoi amministratori e i funzionari ad essi collegati. L'allarme fa seguito a quello lanciato martedì dall' Fbi, il quale ha trovato tracce dell' incursione di hacker cinesi nei principali think tank del paese, quelli appunto dai quali escono i nomi dei candidati che affiancheranno Joe Biden dopo l' insediamento alla Casa Bianca il 20 di gennaio.
LA MINACCIA
Il nuovo presidente sarà presto messo a conoscenza dei dettagli di questa infiltrazione in atto, che il controspionaggio rifiuta al momento di articolare in pubblico. Biden è comunque ben cosciente della minaccia: nelle fasi iniziali della campagna elettorale aveva criticato Trump per la strategia di attacco indeterminato e unilaterale nei confronti della Cina, e in particolare aveva promesso la rimozione dei dazi commerciali.
Alla chiusura della corsa presidenziale la sua posizione era già cambiata: Biden lascerà i dazi intatti, almeno per i primi tempi, mentre cercherà di ricostruire dalle ceneri che il suo predecessore gli lascia, una coalizione internazionale di paesi interessati a respingere le violazioni più gravi che la Cina e le sue aziende commettono: il furto della proprietà intellettuale, e la contravvenzione delle regole sulla concorrenza.
IL BLOCCO
Nel frattempo l' amministrazione Trump ha posto ieri un nuovo blocco sulla strada di una futura pacificazione dei rapporti. Il dipartimento di Stato ha irrigidito il regime di rilascio dei visti per i visitatori cinesi, in particolare nei confronti dei circa 92 milioni di appartenenti al Partito Comunista, e dei loro famigliari. Il visto turistico multiplo e aperto per dieci anni che era finora in vigore, è ora ristretto ad una singola visita, per un periodo di soli trenta giorni. Il benvenuto degli Usa per i viaggiatori e gli investitori che ha accompagnato la trasformazione capitalista e l' apertura della società cinese al resto del mondo negli ultimi venti anni, si traduce ora in un gesto di rifiuto. La diplomazia di Pechino non potrà che rispondere con un simile atto di rivalsa.
L'ULTIMATUM
Mercoledì sera inoltre la camera di Washington ha approvato all' unanimità una legge già passata al senato, che impone un ultimatum alle società cinesi quotate a Wall Street: obbedire all' obbligo di sottoporsi ad audit delle autorità statunitensi, o lasciare Wall Street. La norma gode già dell' approvazione di Trump, che presto la ratificherà. I cinesi hanno glissato in passato di fronte alle richieste dell' agenzia di controllo della borsa, dicendo che la richiesta di trasparenza era in realtà un ingerenza politica insopportabile. In realtà l' omissione ha permesso ad aziende del calibro di Alibaba e di PetroChina di raccogliere capitali negli Usa senza dover mostrare se sono società indipendenti o legate al governo centrale, oltre che ad occultare dati finanziari che sono offerti allo scrutinio dell' agenzia dalle altre società internazionali.