DAGONEWS: L'intervista di Gentiloni da Baudo ha suonato il 'liberi tutti' nel Pd. E ora Marianna Madia, che nel partito è come il canarino nella grotta che avverte quando il vento è cambiato e l'aria si è fatta irrespirabile, si sarebbe schierata con Andrea Orlando. D'altronde dopo essere stata portata in Parlamento da Veltroni, essersi seduta con D'Alema alla Camera e alla sua Fondazione Italianieuropei, rieletta grazie a Bersani, promossa ministra da Enrico Letta (anche lì dopo fondamentali apporti alla sua fondazione Arel), passata con Renzi dietro conferma della poltrona, la coerenza le ha imposto di mollare pure stavolta la nave che affonda.
Marcello Mancini per la Verità
L' aria che tira è cambiata. Gli sguardi inquisitori delle guardie rosse, anzi rosa, hanno ripreso i tratti umani; nel Giglio magico ora si percepiscono debolezza e smarrimento. Il pensiero non è più unico, nel Pd toscano, fino adesso diviso fra renziani e pochi sfigati, con tutto il rispetto. Nei circoli del partito e soprattutto nelle stanze istituzionali, il tempo è sospeso. Tutti aspettano di capire che cosa succederà. Chi non è stato renziano confessa di sentirsi «liberato da un clima di squadrismo», chi era sul carro del capo sta pensando se, come e quando gli converrà scendere.
Si sa come vanno queste cose: appena si mette male, parte il fuggi fuggi e la corsa al riposizionamento. Si tira in ballo il rammarico, il ravvedimento, i principi mortificati, ma insomma: arrivederci e grazie. Il «25 luglio» che ti aspetti, per ora te lo puoi solo immaginare, ma è chiaro che siamo già su un altro pianeta rispetto a un anno fa, quando Matteo era l' uomo della provvidenza che chiudeva a chiave le coscienze dei suoi, in cambio di bocconi di potere da esercitare rigorosamente sotto controllo. Il suo.
È svanita la paura di mettersi contro il conducator, di contraddirlo, perfino di smentire decisioni che aveva preso lui in persona, ovviamente con il consenso unanime e omaggiante della corte. Firenze rappresenta l' esaltazione e, nello stesso tempo, il limite dell' idea di potere che appartiene a Matteo Renzi. Qui vi ha applicato da sindaco i suoi metodi spicci, l' allergia al confronto, la politica degli annunci, la smania del tutto e subito che ha portato a opere per la maggior parte incompiute. Strategie di marketing che il tempo, più dell' indebolimento politico, sta smontando. È successo in Toscana prima che a Roma, dove la maschera è caduta più tardi, demolita dal totem beffa degli 80 euro, dal Jobs act, dai voucher, dall' abolizione dell' Imu sulla prima casa.
A Firenze la politica del renzismo si è sgretolata prima del suo ispiratore. I picconatori - ecco il segnale del mutamento - sono stati proprio i colonnelli dell' ex premier, semplicemente liberati dall' obbligo dell' obbedienza. In altri tempi probabilmente non sarebbe successo che il sindaco Dario Nardella, insofferente ma leale epigono del Principe, si levasse di mezzo il sovrintendente del teatro del Maggio, Francesco Bianchi, che fu scelto da Renzi per risanare i conti disastrati ed è oltretutto il fratello di Alberto, uomo ombra del potere renziano, custode della cassaforte di Matteo attraverso la Fondazione Open, da lui sistemato anche nel cda dell' Enel. Il teatro è una delle istituzioni della città che Renzi aveva cercato di elevare a simbolo dei suoi successi di amministratore, ma ancora oggi è alle prese con licenziamenti e ridimensionamenti che esplodono con maggiore visibilità.
MARIANNA MADIA GIULIO NAPOLITANO 3
Lo stesso Luca Lotti ha perso voce e smalto dei giorni migliori, se Nardella osa cestinare i suoi suggerimenti per nominare il nuovo presidente di Pitti Immagine, la cattedrale della moda, che sarà invece Claudio Marenzi, personalità non molto gradita al ministro dello Sport. Poter scegliere con la propria testa, senza condizionamenti o timori di dure reprimende, non ha prezzo.
Gli errori commessi da Renzi e dal renzismo, ridimensionati o nascosti fino a oggi, riemergono come esempi di un fallimento annunciato. Anche il potenziamento dell' aeroporto di Peretola, che sarebbe stato il vero risultato concreto incassato dalla gestione Renzi dopo decenni di immobilismo, frutto di un accordo con il presidente della Regione Enrico Rossi, sta ammuffendo perché il Comune di Sesto Fiorentino si è messo di traverso e manco ci pensa a far passare gli aeroplani sopra i tetti delle sue abitazioni.
Guardate che proprio il Comune di Sesto è stato il primo esempio di renzismo arrogante e perdente: appena insediato, è finito in macerie. Nel 2016, dopo appena un anno di governo, la sinistra del Pd ha rovesciato la sindaca renziana Sara Biagiotti, rea di aver interpretato il verbo del capo con gli eccessi dispotici connessi e ben conosciuti. Il Comune è passato nelle mani dei comunisti, che dell' aeroporto non vogliono sentir parlare. Per dire che anche al migliore Renzi non tutte le ciambelle riuscivano con il buco.
Qualche giorno fa l' ex premier è andato a pranzo al circolo fiorentino Vie nuove. Ha portato con sé Lotti da Roma e si è circondato, a tavola, dei fedelissimi. Sembrava una riunione del Gran consiglio del renzismo. Forse la rimpatriata voleva rialzare il morale del regime, è servita però solo a misurare la depressione del leader e aggravare lo scetticismo dei suoi. Come al solito nessuno ha avuto il coraggio di dirgli in faccia ciò che pensava, però risulta che si siano abbondantemente sfogati appena sciolta la compagnia. Così Renzi appare, se possibile, più solo che mai, anche nella roccaforte pd della sua città.
Perfino il sindaco Nardella viene dato in avvicinamento verso l' area di Dario Franceschini e molti rottamati dalla stagione delle purghe si stanno rifacendo vivi progettando nuove alleanza. La vecchia colonna bersaniana, in questi anni parcheggiata nella clandestinità della minoranza, riprende piglio ed esce dai nascondigli forzati.
Michele Emiliano è una zattera per delusi che vogliono però restare nel Pd. Il governatore della Puglia si è fatto vedere in Toscana per arruolamenti pre congressuali e ha ingaggiato come referente, il consigliere regionale Paolo Bambagioni, di provenienza Margherita ma non renziano, emarginato fino a oggi dallo strapotere del regime. Fa rumore che anche il cognato di Nardella, Giuseppe Catizone, ex sindaco di Nichelino, membro della direzione nazionale del Pd, abbia scelto di sostenere la mozione Emiliano, in Piemonte. Su Facebook ha postato un autentico endorsement, nel quale spiega di aver appoggiato Renzi qualche anno fa, ma che oggi «l' azione politica del Pd si è indebolita soprattutto verso i ceti popolari» e dunque c' è bisogno di una svolta. Delusione condivisa, almeno sul social, dalla compagna, Sveva, sorella del sindaco di Firenze.
Il governatore Enrico Rossi, traslocato nel nuovo partito di Massimo D' Alema e Roberto Speranza, non ha più un consigliere regionale, perché nessuno lo ha seguito. Ma ha l' assicurazione che il Pd non lo abbandonerà. Almeno fino alle elezioni politiche (2018?) quando si candiderà al Parlamento e dovrà dimettersi con due anni di anticipo sulla scadenza (2020).
Il risiko delle alleanze che sta andando in scena è per la prima volta da anni al netto delle preferenze di Renzi, che ora ha altro per la testa. Ne discende che ognuno gioca per conto suo e la tregua sancita due anni fa dall' investitura di Rossi da parte dell' imperante Renzi è già saltata. L' assessore alla Sanità Stefania Saccardi, fortemente voluta da Renzi, anche lei ospitata nel cenacolo del circolo Vie nuove, è pronta a mettersi d' accordo con l' esponente della sinistra interna, Vincenzo Ceccarelli, per conquistare la presidenza.
Il segretario regionale Dario Parrini vorrebbe la poltrona per sé. Il sottosegretario Antonio Giacomelli, noto come franceschiniano, condivide le stesse aspirazioni. In coda anche Eugenio Giani, presidente del Consiglio regionale, al quale Renzi impedì di diventare sindaco perché gli preferì il più fedele Nardella. Tanti galli renziani nel pollaio. Troppi. Nel clima da «bomba libero tutti», si affilano le rivincite. Il post renzismo è appena cominciato.