Alberto Gentili per “il Messaggero”
A palazzo Chigi dicono: «Nulla è cambiato con Renzi». Garantiscono: «Certo, Gentiloni non è felice di essersi trovato nel mezzo di uno scontro istituzionale, ma si sente più volte al giorno con Matteo. E' da escludere che da questa vicenda siano rimaste scorie nel rapporto tra i due». Stesso ritornello l'intona Matteo Renzi: «Paolo è un amico, lo stimo. Domani me lo porto sul treno e sul palco di Napoli. Amici come prima».
Del resto, come sostiene Michele Anzaldi, compagno di mille lotte al fianco di entrambi, «a uscire vincitore dallo scontro su Bankitalia è Matteo. Ora potrà fare una campagna elettorale sminata dall'accusa di essere l'uomo delle banche. Ha passato il testimone a Paolo che, inevitabilmente ne esce un po' ammaccato».
Anzaldi è uno abituato a parlare senza peli sulla lingua. Gentiloni, invece, ha un approccio felpato. Ed è anche «uomo a sangue freddo», aggiunge chi lo conosce bene. E aveva messo in conto di dover «fare la fine del vaso di coccio nello scontro tra il Quirinale e Renzi sulla nomina di Visco». Come ha accettato di vedere il proprio leader cucirgli addosso, in vista di un possibile duello su chi tra i due dovrà tornare a palazzo Chigi dopo le elezioni, il vestito «di uomo dell'establishment».
SORPRESA E SCONCERTO
C'è però chi racconta che Gentiloni sia sorpreso, e anche un tantino sconcertato, dalla linea simil-grillina scelta da Renzi. Che non è solo il cannoneggiamento contro il santuario della Banca centrale. Ma è anche chiedere lo stop all'innalzamento automatico dell'età pensionabile e il ritorno ai parametri di Maastricht. Scelta che vorrebbe dire far risalire il deficit fino al 2,9%. Ma che il leader dem difende: «Serve per liberare 30-50 miliardi di risorse con cui abbassare le tasse e consolidare la crescita. A me interessano gli italiani, non i sacerdoti del rigore».
Lo sconcerto è un sentimento che il premier condivide con il presidente Sergio Mattarella. Dal Quirinale non filtra neppure un bah. Chi ha però parlato con il capo dello Stato, lo descrive «turbato». Per l'assalto di Renzi a principi per lui sacri, come l'autonomia e l'indipendenza di Bankitalia. E soprattutto perché il segretario del Pd ha sferrato l'attacco a fini elettorali, incurante dei delicati equilibri istituzionali. Un comportamento, a giudizio di Mattarella, non consono al leader di un partito storico - garante da sempre della stabilità - che dovrebbe avere a cuore l'interesse del Paese e delle sue istituzioni.
Ma c'è di più. C'è che con l'assalto a Visco, Renzi avrebbe infranto un patto che prevedeva, oltre alla conferma del governatore senza polemiche, la proroga del comandante della Finanza, Giorgio Toschi (già scattata) e un timing serrato per lo scioglimento del Parlamento. «In linea di principio si può andare alle urne fino a maggio, invece si era deciso per inizio marzo», dice una fonte autorevole, «ma siccome Gentiloni intende restare fedele a Renzi, a fine dicembre il premier dichiarerà concluso il suo lavoro e Mattarella non potrà che prenderne atto».
LA PARTITA DELLE NOMINE
Ci sono però altre nomine sul tavolo. E il leader dem, dopo aver perso lo scontro ingaggiato su Bankitalia, è determinato a ottenere l'invocata «discontinuità» almeno per la Consob, la Commissione per le società e la Borsa. Il mandato di Giuseppe Vegas scade il 15 dicembre e non è rinnovabile. A palazzo Chigi si mostrano concilianti: senza ridurre la vicenda a una dinamica di scambio si darà peso al Parlamento e dunque anche al giudizio del Pd. I corsa Angelo Provasoli, ex rettore della Bocconi, il vicepresidente del Csm, Giovanni Legnini, l'economista Marco Fortis e Roberto Garofoli, segretario generale del ministero dell'Economia.
Prima delle elezioni, il governo dovrà anche decidere sul nuovo comandante dei Carabinieri: il generale Tullio Del Sette, nominato da Renzi e confermato da Gentiloni, dovrebbe essere sostituito. In scadenza sono anche i vertici dell'Esercito e dell'Autorità per l'energia. La partita si annuncia ghiotta e, come insegna la vicenda di Bankitalia, decisamente aguerrita.