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1. BREXIT: JOHNSON, NON HO MENTITO A REGINA SU STOP PARLAMENTO
(ANSA) - Boris Johnson respinge le accuse dell'Alta Corte della Scozia che ieri ha decretato come illegale la sospensione del Parlamento britannica da lui decisa in queste settimane e nega d'aver mentito alla regina nel suo 'advice' per ottenere il Royal Assent sul provvedimento: "Assolutamente no", è stata la risposta al riguardo del premier Tory alla Bbc. Johnson ha poi notato come, a differenza dei giudici scozzesi, "l'Alta Corte di Londra si sia detta pienamente d'accordo" col governo sulla legittimità della sospensione. Ora - ha concluso - "dovrà essere la Corte Suprema (del Regno) a decidere".
2. BREXIT: RAPPORTO SHOCK SU NO DEAL, 'PARLAMENTO RIAPRA'
(ANSA) - Si intensifica la polemica sulla sospensione del Parlamento britannico dopo la pubblicazione nelle ultime ore del testo integrale del rapporto Yellowhammer sui potenziali effetti "peggiori" d'una Brexit non deal tenuto finora segreto dal governo di Boris Johnson. Il documento, trapelato in parte sui media nelle settimane scorse, è stato rilasciato sulla base di una recente mozione della Camera dei Comuni che intimava all'esecutivo di farlo.
Ipotizza fra l'altro lo scenario di "approvvigionamenti ridotti" per alcuni cibi e prodotti alimentari; intoppi per un periodo fino a 6 mesi nell'importazione di certi medicinali; una fase di aumento di prezzi particolarmente concentrati sulle persone a basso reddito; code di tir ai porti sulla Manica; eventualità di proteste di piazza e di scontri fra militanti anti e pro Brexit. Un quadro allarmante, denuncia il leader laburista Jeremy Corbyn, accusando Johnson di essere pronto a esporre ai rischi di un no deal in particolare i ceti più svantaggiati. Anche se il governo minimizza la portata del rapporto.
Rispondendo agli allarmi, il ministro della Difesa, Ben Wallace, ha definito oggi i contorni della cosiddetta Operazione Yellowhammer ipotizzata dal rapporto alla stregua non d'una previsione realistica, ma di uno scenario estremo. Evidenziando le notevoli risorse stanziate nel frattempo per allontanarlo. Mentre il numero tre del governo Johnson, Michael Gove, responsabile dei preparativi del no deal, ha sottolineato come il testo in questione risalga all'inizio di agosto e come da allora siano state approntate misure - che ha promesso di rendere note a breve - per "mitigare" i rischi. Il rapporto, redatto da gruppi di lavoro istituiti dallo stesso esecutivo Tory, fa comunque riferimento al contesto tratteggiato come allo "scenario peggiore realistico".
BORIS JOHNSON E IL RAPPORTO DIFFICILE CON I TORY
Di qui la reazione di Keir Starmer, ministro ombra del Labour per la Brexit, secondo cui esso rende "più necessaria che mai la riconvocazione del Parlamento": tuttora chiuso - malgrado la sentenza di ieri di tre giudici scozzesi che ne ha decretato illegittima la sospensione voluta dal premier fino al 14 ottobre - in attesa del ricorso pendente dinanzi alla Corte Suprema. Una sospensione rispetto al cui iter il governo s'è del resto rifiutato di aderire a una seconda richiesta approvata dai Comuni: quella di rendere pubbliche anche le mail e i messaggi di diversi stretti collaboratori di Johnson per far luce su presunte trame anticipate rispetto allo stop temporaneo imposto alle Camere. Richiesta definita "illegale" e "scorretta" per l'asserita violazione indiscriminata della privacy e del riserbo dei rapporti interni a Downing Street che comporterebbe.
3. LA PAZZA ESTATE DEL PREMIER JOHNSON DA PIROMANE A POMPIERE?
Luigi Ippolito per il ''Corriere della Sera''
L’ultimo mattone cascato sulla capoccia bionda di Boris Johnson — la decisione della corte scozzese — arriva a suggellare una pazza estate che ha visto il termometro della politica britannica salire a livelli da emergenza climatica. Ma il piromane di turno, in questo caso, è lo stesso primo ministro, che ha messo in fila una settimana dopo l’altra gesti e parole incendiari.
Il tono lo ha dato al momento dell’insediamento a Downing Street, alla fine di luglio. La Brexit si farà il 31 ottobre, proclama, «no ifs, no buts», senza se e senza ma. È finito il tempo dei cacadubbi, la Gran Bretagna si incammina verso un radioso avvenire fuori dall’Unione europea. E non ci sono rischi, assicura, perché la possibilità di un no deal, un divorzio senza accordi, «è una su un milione». Peccato che non spieghi come farà a raggiungere questa intesa in soli due mesi, visto che ha dichiarato carta straccia il compromesso ottenuto da Theresa May.
Ma poco importa, confrontarsi con la realtà non è mai stato il suo sport preferito. Piuttosto, Boris viene colpito da una pericolosa malattia politica, l’annuncìte: i primi giorni di agosto sono scanditi da blitz attraverso l’Inghilterra accompagnati da proclami a raffica, «più poliziotti nelle strade», «tagliamo l’Iva», «internet in tutte le campagne» «grandi ferrovie al nord», e così sciorinando. Sembra una campagna elettorale permanente: anche se, almeno ufficialmente, non ci sono elezioni in vista. E meno male che a Brighton non hanno il Papeete beach, perché la deriva presa era quella.
BORIS JOHNSON COME MILEY CYRUS
Il contatto con la realtà, come spesso avviene, è a livello internazionale. Quando dopo Ferragosto Boris va a incontrare a tu per tu Angela Merkel ed Emmanuel Macron, prima del summit del G7: lui spera di far leva sul suo (dubbio) charme personale, ma gli europei non si fanno abbindolare. Gli dicono che ha trenta giorni per farsi avanti con proposte alternative: lui prova a rivenderselo in patria come un grande successo, un segnale che i pavidi europei stanno cedendo. Ma dalle cancellerie continentali arriva tutt’altra musica.
Boris allora fa la voce grossa, fa capire che il no deal non lo spaventa, se è quello che gli europei vogliono tanto peggio. A questo punto i deputati di Westminster cominciano a sentire puzza di bruciato e studiano le contromisure. Ma Boris pigia il piedone sull’acceleratore: e sospende il Parlamento. Gli avversari gridano al golpe, ma lui tira dritto e manda il fido scudiero Jacob Rees-Mogg a chiedere l’assenso della Regina.
A quel punto, tutto precipita. I deputati scagliano il colpo di coda e Boris diventa il primo premier che perde tutte le votazioni in Parlamento da quando si è insediato: Westminster gli ingiunge di chiedere il rinvio della Brexit e gli nega le elezioni anticipate.
Boris perde la bussola. Finisce a trascinare tori per la cavezza e ad alzare la manona fra i banchi di scuola. Ma soprattutto proclama che non rinvierà mai la Brexit, «piuttosto finisco morto in un fosso». Alle sue spalle, una poliziotta sviene, mentre lui continua a farfugliare frasi inconcludenti.
E tuttavia... gli ultimi spifferi da Downing Street dicono che Johnson sarebbe adesso pronto a fare una mezza marcia indietro, ad accettare un compromesso che potrebbe essere ben accolto dagli europei e soprattutto digerito dal Parlamento: così sarebbe fugato lo spettro del no deal e si andrebbe a una Brexit ordinata e composta. Che ci sia del metodo nella sua follia?