Antonio Pollio Salimbeni per il Messaggero
Non ci sono conferme, ma il negoziato Ue-Regno Unito per il divorzio è uscito dalla palude. Tanto che ci credono perfino i mercati, con la sterlina che ieri sera ha guadagnato lo 0,7% contro l'euro e il dollaro, dopo che il giornale britannico Daily Telegraph aveva lanciato la notizia della giornata: ci sarebbe un accordo sugli obblighi finanziari del Regno Unito verso la Ue, la fattura di Brexit. Il Financial Times titola: il Regno Unito «si inchina alle richieste Ue».
Secondo fonti politiche e diplomatiche Londra riconoscerebbe passività a suo carico fino a cento miliardi di euro, che in termini di pagamenti netti scenderebbero a circa metà. Si profila una cifra dai 45 ai 55 miliardi. La premier britannica Theresa May aveva offerto 20 miliardi e la chiusura della Ue era stata totale, considerando la proposta buona solo per procedere speditamente verso una hard Brexit. Cioè una Brexit senza accordo.
Il conto netto indicato dalla Ue, mai confermato ufficialmente, indicava circa 60 miliardi per pagare tutti gli impegni assunti da Londra durante la partecipazione alla Ue che dovranno essere onorati negli anni successivi all'addio del Regno: dalla spesa per progetti Ue ai prestiti agli Stati alle pensioni dei funzionari britannici della Ue.
LE FASI
Se tutto ciò sarà confermato, siamo alle ultime battute della prima fase dei negoziati. Si capirà tutto lunedì quando Theresa May incontrerà a Bruxelles il presidente della Commissione Jean Claude Juncker. Se tutto filerà liscio a metà dicembre i 27 potranno certificare che sono stati fatti «progressi sufficienti» e passare alla seconda fase del negoziato in cui si discuterà di relazioni future tra Ue e Regno Unito: commercio, mercati finanziari, ricerca. Ma tutto filerà liscio? Il negoziato è davvero in discesa? Gli interrogativi sono legittimi, perché i conti da saldare non sono l'unico scoglio da superare.
IL CONFINE
È uno scoglio non superato, e a questo punto il principale, la gestione della frontiera tra Irlanda del Nord e Repubblica d'Irlanda. Dublino chiede «garanzie scritte» che l'Irlanda del Nord non abbia regole divergenti da quelle della Ue per preservare lo spazio senza frontiera con la Repubblica d'Irlanda ai 300 punti di attraversamento tra i due Stati. L'assenza di frontiere è considerata la condizione per assicurare il rispetto dell'accordo del Venerdì Santo che ha garantito la pace dal 1999.
Per Londra è inaccettabile far arretrare di fatto la frontiera all'interno del territorio nazionale (ai punti di passaggio dall'Irlanda del Nord). May ritiene che la questione possa essere risolta solo nel quadro di un accordo sulle relazioni commerciali Ue-Regno Unito.
Ma di questo non si parla senza accordo sulla prima parte del negoziato. Poi c'è l'ostacolo del ruolo della Corte di Giustizia Ue su cui Londra non vuol cedere. Si cerca una formula che rassicuri la Ue sul modo in cui la Corte suprema britannica «presterà la dovuta attenzione» (questa la formula accarezzata dai britannici) alle sentenze della Corte di Giustizia per l'impatto delle decisioni sui cittadini Ue residenti nel Regno.
Il braccio di ferro è sulla forza del vincolo che la magistratura britannica dovrebbe rispettare. E per quel che concerne i diritti dei cittadini Ue non tutto è chiuso, resta aperto ad esempio l'aspetto dei diritti dei figli degli espatriati nel Regno Unito. Se tutto questo sarà risolto, si può passare alla seconda fase. Altrimenti no.