Alessandro Barbera per "La Stampa"
Quasi cinque miliardi di euro a favore dei più ricchi mentre un milione di italiani finiva in povertà. Il giudizio di Mario Draghi sul cashback di Stato voluto dal governo Conte è senza appello. Ieri il consiglio dei ministri ha approvato un decreto con diverse misure, la più importante delle quali è la sospensione fino al primo gennaio dei rimborsi per l'uso dei pagamenti elettronici.
La promessa di reintrodurlo, accompagnata dall'impegno a rafforzare la lotta all'evasione, ha evitato uno scontro con il Movimento Cinque Stelle, ma le ragioni esposte dal premier durante la riunione danno l'impressione che qualunque cosa arriverà dopo sarà molto diverso.
«Il cashback di Stato ha carattere regressivo». Draghi ha fra le mani le statistiche preparate dal ministero del Tesoro, secondo le quali il profilo del perfetto utilizzatore della carta ha tre caratteristiche: meno di 65 anni, un reddito medio alto e vive in una città del Nord.
Il cashback nasce con due precisi obiettivi: colpire l'evasione e stimolare i consumi. Draghi è convinto che fin qui i costi hanno superato di gran lunga i benefici. «La misura rischia di accentuare la sperequazione fra i redditi, favorendo i più ricchi con una propensione al consumo presumibilmente più bassa, determinando un effetto moltiplicativo sul Pil non sufficientemente significativo a fronte del costo della misura».
Non solo: «Non esiste alcuna obiettiva evidenza della maggiore propensione all'utilizzo dei pagamenti elettronici». Infatti, «quasi il 73 per cento delle famiglie già spende tramite le carte più del plafond previsto dal provvedimento». I nuclei del quinto più povero «dovrebbero aumentare la loro spesa con carte di quasi il 40 per cento, mentre quelle più abbienti solo dell'uno».
A sostegno della sua tesi Draghi offre altri numeri: le transazioni che hanno raggiunto l'obiettivo previsto per l'erogazione del rimborso (cinquanta nel semestre) rappresentano solo la metà del totale, mentre il 40 per cento dei beneficiari ha comunque effettuato un numero di transazioni tali da far ritenere che si tratti di persone che già usano le carte di credito.
E dunque, poiché la misura è costata 4,75 miliardi, «va valutata non solo in relazione ai benefici, ma anche al costo e all'attuale quadro economico e sociale che nel 2020 ha visto entrare in povertà assoluta 335mila nuclei familiari e un milione di persone».
Detta più esplicitamente, un enorme spreco di denaro senza «effetti significativi» sul gettito fiscale. Al contrario «è probabile che le transazioni elettroniche crescano per effetto del cashback soprattutto in settori già a bassa evasione come la grande distribuzione organizzata».
Difficile non leggere in filigrana un giudizio sullo sponsor numero uno della misura, ovvero l'ex premier Giuseppe Conte. In Consiglio dei ministri, nel quale più d'uno viene dal governo precedente, non c'è stata grande discussione. Stefano Patuanelli, ministro dell'Agricoltura e fedelissimo dell'ex premier, si è per ora accontentato della promessa di reintrodurre la misura dopo un monitoraggio dell'evoluzione dei pagamenti elettronici.
il ministro stefano patuanelli foto di bacco (1)
Non ha trovato alleati: sia il leader leghista Matteo Salvini che la capogruppo al Senato di Forza Italia Annamaria Bernini hanno applaudito allo stop. In compenso Salvini ha dovuto digerire l'ennesimo stop alla riapertura delle discoteche.
Il consiglio ha anche approvato il disegno di legge delega per rendere certi i tempi degli appalti proposto dal ministro Enrico Giovannini. La delega punta a rendere più stretto il legame fra normativa nazionale e direttive europee, a semplificare le procedure negli investimenti in tecnologie verdi e digitali, i protagonisti del Recovery Plan europeo.