Monica Guerzoni per il “Corriere della Sera”
LORENZO GUERINI GIUSEPPE CONTE
Il dossier che ha portato il governo sull'orlo del burrone, sembra averlo miracolosamente ricompattato. Dopo i litigi e i veleni che hanno scandito la lunga e burrascosa notte del Consiglio dei ministri su Autostrade, le quattro anime della maggioranza cantano vittoria, anche se non all'unisono. E il più lieto di tutti è Giuseppe Conte, convinto che la «linea della fermezza» gli abbia consentito di arrivare a un compromesso che, l'avvocato se lo dice da solo, «è un capolavoro».
«Se dopo Aspi il premier si porta a casa anche il Recovery fund , nessuno lo tocca più», sperano a Palazzo Chigi e lodano la «ferocia» con cui il presidente, stanco di «essere preso in giro con proposte inaccettabili», ha sfidato i Benetton costringendoli alla resa. «Da avvocato non ho mai visto un contratto più vantaggioso - va ripetendo il premier -. È una questione economica, ma anche etica e di giustizia, nei confronti delle vittime di Genova e dei cittadini. Non potevo fare inginocchiare lo Stato italiano davanti a loro».
PAOLA DE MICHELI ROBERTO GUALTIERI
Le parole del giorno dopo grondano soddisfazione, ma il governo se l'è vista brutta. E la giornata di ieri è stata un susseguirsi di telefonate e messaggi per smussare, placare, smentire. A Palazzo Chigi negano l'ipotesi rimpasto e giurano che Conte non abbia mai chiesto, magari per far contenti i pasdaran del Movimento, la testa di Paola De Micheli: «È stata sempre leale». Eppure la storia della lettera riservata del 13 marzo, in cui la ministra gli chiedeva di «valutare una soluzione transattiva», ha fatto molto arrabbiare Conte e ha infiammato il Cdm. Succede quando sui telefoni dei ministri arriva la prima pagina del Fatto con il titolo «United dem of Benetton».
LORENZO GUERINI GIUSEPPE CONTE
Lorenzo Guerini, di solito moderato e compassato, scatta in difesa del Pd: «Questa favoletta dei frenatori amici dei Benetton ha scocciato - attacca il ministro della Difesa agitando lo smartphone sotto il naso di Conte -. Siamo tutti sulla stessa barca, non c'è il cavaliere bianco senza macchia e il cattivo che inciucia. Questi giochini comunicativi non sono rispettosi del lavoro di De Micheli e Gualtieri». Raccontano che il premier, fin lì attento a spegnere ogni scintilla, abbia perso per un paio di minuti il controllo: «Io non c'entro nulla con quello che fa Travaglio».
Guerini non lo lascia finire e punta il dito verso la stanza del portavoce Rocco Casalino: «Allora vallo a dire di là». La reazione di Conte è furiosa: «E io che dovrei dire? Quando quella lettera riservata è uscita sui giornali ho fatto finta di nulla, anche se è una cosa gravissima e inaccettabile». E non è il solo momento di tensione. Il Cdm si apre con Conte che mette sul tavolo il decreto di revoca scritto di suo pugno. Se all'inizio tutti pensano che lo tenga lì come arma di pressione, più l'alba si avvicina e più aumentano i sospetti.
Il Pd teme che il premier - in sofferenza per il «nuovo» Di Maio che parla con Mario Draghi e gioca di sponda con Gianni Letta - voglia usare il «bazooka» della revoca per sedurre gli elettori e le truppe del M5S. D'altronde, alla viglia, più di un ministro aveva sentito i «discorsi temerari» di Conte: «O i Benetton vanno sotto il 12%, oppure io gli tolgo la concessione, altrimenti è una sconfitta».
La scena madre tocca a Di Maio. L'ex capo politico non è convinto, lamenta i tempi troppo lunghi dell'uscita dei Benetton da Autostrade e ha paura che la quotazione in Borsa riservi sorprese: «La nostra linea era cacciarli subito e questo accordo non lo garantisce». È Franceschini a convincerlo che l'intesa funziona anche per lui: «Luigi, il vostro obiettivo era l'uscita totale dei Benetton. Anche senza revoca usciranno e quindi potrete dire che avete vinto». Cornetti e caffé per tutti.