Daniela Ranieri per il “Fatto Quotidiano”
L’insonne performer dei social network, lo statista tweet- star , l’idolo dorato delle masse evolute della rete nonché inventore di felicissimi hashtag che faranno la Storia di questa Repubblica, sta per finire bollito nel suo stesso calderone. Se per noi la cosa sarebbe lungi dal rappresentare una questione politica, per lui qualche significato deve avere che la sua pagina Facebook sia invasa in queste ore da commenti del tipo: “Non voteremo più Pd perché indignati dal ddl La Buona scuola”.
Sono tanti, centinaia e ogni ora di più, sotto le “sfide” narrate da Matteo: le foto coi tennisti di grido e con Raul Castro, lo scatto alla firma all’Italicum, il video del discorso all’Expo. Una goccia che scava il silicio variando sul tema: “Io e tutta la mia famiglia non voteremo mai più Pd”. Ecco. A forza di disintermediare, Renzi si è trovato la gente in casa, nel cuore della cassa di risonanza della sua onnipotenza mediatica che ora gli rimanda l’eco di un dissenso difficile da ignorare.
Nello spazio in cui si mischiano intrattenimento e propaganda, frivolezza e coercizione – il tempo libero che passiamo su FB è in realtà tempo di lavoro che elargiamo gratis alla crescita dell’impero di Zuckerberg e alle campagne elettorali dei leader politici – la pioggia di commenti amari ha il sapore del contrappasso.
Una crisi di rigetto in piena regola nell’agorà digitale nel momento di sua massima trepidazione, quando le elezioni regionali si approssimano e sul “muro” di Renzi, pieno di osannate veline governative, sue spiritosissime effigi e spinterogene chiamate alle armi della # voltabuona , compaiono i primi sbreghi e una pur composta, ma forse perciò più tremenda, ressa di pasquinate.
Forse il Ministero agli hashtag renziano (un Ministero- ombra che però conta più degli altri, certo più di quello agli Affari regionali ancora senza titolare) nelle prossime ore deciderà se ridurre la faccenda alla dimensione della goliardata o deformarla verso la sedizione molesta, identificando gli autori in civatiani rosiconi, gufi dei sindacati o bot siti in Albania e pagati da Casaleggio.
Matteo Renzi davanti ad una foto di Maurizio Landini,
La realtà, ahilui, è che sono (erano) elettori del Pd impegnati in un’operazione di sabotaggio. Quando la politica è tutta immateriale, invece di tirare zoccoli dentro i macchinari molti lavoratori e fruitori della scuola – insegnanti, genitori, studenti – hanno deciso di gettare un granello di polvere nell’oliatissima narrazione renziana sottoponendola a una massiva cura omeopatica.
È come se ai tempi dei decreti- vergogna di B. migliaia di telespettatori avessero interrotto Beautiful col telecomando interattivo Quizzy o un loro nutrito plotone avesse occupato gli studi di Bim bum bam.
E indubbiamente uno spostamento della scena politica c’è, se il governo, per bocca della ministra non competente Boschi, può sottovalutare la piazza fisica (“La scuola solo in mano ai sindacati non credo funzioni”) e trasferire l’agire politico sul piano di un battage quotidiano e forsennato sui social media.
Il che ci dà l’agio di ritenere che contro un tale governo non valga tanto scendere in piazza quanto togliergli il follow su Twitter. Ma ormai la narrazione, da narcotico mutuato dal marketing, si è fatta non solo sovraesposizione mediatica del conducator e sua impietosa auto-promozione, ma discorso in sé, teoria e prassi, e per sua precisa volontà.
È infatti lui, non gli oscuri “utenti di Internet” vituperati dai benpensanti, a raggrumare la dimensione pubblica nei 140 caratteri di Twitter, dove pure ha comunicato le linee guida di tutte le sue riforme e dove nel pomeriggio di ieri è intervenuto sulla protesta promettendo il dialogo con “un #matteorisponde”.
Segno che stavolta la strategia di individuare un nemico (i sindacati) e indicarlo al popolo, seppur quello ondivago e distratto della rete, non ha funzionato. Renzi parla a gente alfabetizzata che non si lascia accecare dai suoi “slogan del cazzo” (copyright Landini) e gli risponde nel merito: la Buona Scuola è indecorosa. Ma è il metodo ad aprire una breccia e a mettere Matteo in un cul-de-sac logico.
Perché delle due l’una: o i suoi post di FB contano (e contano, se Gaia Tortora li legge in diretta al Tg de La 7 come fossero un’agenzia su una risoluzione Onu), o non contano. E se contano, se sono politica, notizia, narrazione, conteranno tanto più quelli di coloro a cui sono rivolti. E se questi sono potenziali elettori del Pd quando lodano il premier con stelline e cuoricini, devono esserlo anche quando lo criticano.
A meno di non considerare il cosiddetto “popolo della rete” alla stregua del pubblico de La ruota della fortuna o, peggio, come la superficie riflettente del vuoto narcisismo totalitarista del leader.
LANDINI E CAMUSSO CONTRO RENZI