Pietro Salvatori per huffingtonpost.it
Un Governo nato con la benedizione di ampissimi settori della Chiesa che viene scomunicato con un duro comunicato dei vescovi italiani. Scomunica alla quale segue un ravvedimento, non si sa quanto operoso.
Breve cronistoria: Giuseppe Conte dice che no, le funzioni religiose non si possono fare, le rinvia sine die. La Conferenza episcopale italiana, cinque minuti dopo la fine della conferenza stampa del premier, dirama un durissimo comunicato. Si parla di “esclusione arbitraria delle messe”, si ritiene “inaccettabile vedere compromesso l’esercizio della libertà di culto”. Passa un’altra manciata di minuti e arriva la retromarcia della Presidenza del Consiglio: “Nei prossimi giorni si studierà un protocollo per la partecipazione dei fedeli alle celebrazioni liturgiche”.
Sul quando e sul come si naviga nell’incertezza. Settori della maggioranza, a partire da Italia Viva, chiedono che siano date precise indicazioni affinché si possa ripartire già dal 4 maggio. Una parte dei tecnici che coadiuvano il Governo ritengono che le funzioni religiose abbiano il bollino rosso per quanto riguarda pericolosità e diffusione del contagio, e che debbano seguire il calendario di massima indicato per bar, ristoranti e parrucchieri, spostando l’asticella al 1 giugno.
Una discussione in corso in queste ore, sulla quale a Palazzo Chigi prevale al momento un orientamento di compromesso. Si indicano le date dell′11 maggio, o più probabilmente del 18. Una fonte del Ministero della Salute, il dicastero più rigoroso dall’inizio dell’emergenza, spiega: “In quattro o cinque giorni si troverà una soluzione pratica. La si metterà in piedi dal 18, perché come facciamo a spiegare che il 18 riaprono i musei mentre non possono riaprire le chiese?”.
È lo stesso orizzonte indicato dal direttore del Dipartimento malattie infettive dell’Istituto superiore di sanità, Gianni Rezza: “Tra due o tre settimane vediamo che succede e dopo magari si apre”. Troppo poco per le ministre Elena Bonetti e Teresa Bellanova, che guidano il fronte degli aperturisti. Luca Richeldi, uno dei componenti del comitato tecnico-scientifico, difende la scelta: “Le chiese non riaprono perché c’è rischio assembramento”. Un esponente del governo dice che “adesso è difficile tornare indietro rispetto al 4”, ma che vanno anche tenute da conto le “fortissime pressioni che stanno arrivando in queste ore”
Raccontano che Giuseppe Conte si sia reso protagonista di un buon pezzo della trattativa con la Cei. E che il premier si sia anche reso fautore di una soluzione che potesse prevedere una riapertura in sicurezza delle funzioni religiose. Soluzione che ha sbattuto all’ultimo miglio sul muro eretto dal comitato tecnico-scientifico: “Ci sono criticità ineliminabili”. Un inciampo che è emerso sonoramente tra venerdì e sabato, una linea che è stata condivisa in primis dal ministro della Salute Roberto Speranza, e che ha visto con diverse sfumature come alfieri Dario Franceschini, con lui anche buona parte del Pd di governo, e tutti i 5 stelle.
Qui il film cambia, e diventa una storia di sottovalutazione dell’impatto delle scelte. Conte, che pur sul tema ha lavorato a lungo con il ministro dell’Interno Luciana Lamorgese, si orienta coerentemente con il resto delle sue decisioni, sceglie la via della massima prudenza. Poche ore prima che il premier parli, da Palazzo Chigi parte un messaggio diretto a Oltretevere: per ora niente messe. Le domande su un orizzonte temporale a cui guardare per la ripresa rimangono inevase. Il premier confida nella collaborazione del Vaticano e dei vescovi italiani, com’è stato fino a oggi sin dall’inizio dell’epidemia. L’incontro privato subito prima di Pasqua con Papa Francesco è un solido puntello. Lo sono anche, nelle intenzioni dell’esecutivo, le misure di compromesso su funerali, battesimi e matrimoni.
Il comunicato, scritto proprio mentre il premier si apprestava a parlare, con il quale la Cei è andata dritta contro la decisione ha spiazzato il presidente del Consiglio. Per convinzioni personali e per calcolo politico l’asset vaticano sta molto a cuore al capo dell’esecutivo, è tra i principali centri d’influenza che negli ultimi mesi si sono mossi a sostegno del governo. Una fonte che ha consuetudine con Conte racconta dell’irritazione per i movimenti di Italia Viva: “La Bellanova non ha perso un minuto per esternare la sua contrarietà ancor prima che Conte parlasse.
PAPA BERGOGLIO E GIUSEPPE CONTE
La Bonetti subito dopo. Se pensano di mettere una zeppa nei rapporti con il Vaticano e intestarseli hanno fatto male i loro conti”. Anche per questo la quasi immediata risposta, l’assicurazione che verrà preparato un protocollo in tempi brevi. Oltretevere si storce il naso: nelle lunghe interlocuzioni con il Viminale è stata la Cei a sottoporre all’esecutivo diverse soluzioni, la risposta che è arrivata dopo la protesta lascia pensare che non siano state mai valutate operativamente.
Tra le misure allo studio l’obbligo dell’uso dei guanti e delle mascherine, un contingentamento degli ingressi parametrato ai metri quadri della chiesa (o la soluzione “uno per banco”), una soluzione per consegnare la comunione in sicurezza, la sospensione dell’utilizzo delle acque santiere e del segno della pace, l’individuazione di un responsabile della sicurezza per parrocchia. Prescrizioni che non bastano a tranquillizzare il comitato tecnico-scientifico. Sia per la valutazione di intrinseca pericolosità delle messe, sia per la difficoltà a normare e controllare le funzioni di tutte le altre confessioni presenti sul territorio italiano, che a quel punto non potrebbero rimanere ferme al palo.
Il percorso prevede dunque ostacoli di tipo sanitario e sociale, che si mescolano alle considerazioni sul consenso di una comunque nutrita fetta dei cittadini italiani, e di messa in pericolo di parte del soft power che fino ad oggi ha contribuito alla traballante stabilità di questo governo. Conte corre dunque ai ripari. Resta da capire se si è già fuori tempo massimo.