Marco Bresolin per “la Stampa”
Chi si aspetta grandi colpi di scena dal Consiglio europeo di domani rischia di rimanere seriamente deluso. Non ci sarà un' intesa sul nuovo «Recovery Fund», il fondo per la ripresa economica post-pandemia. Le posizioni tra i Paesi Ue sono e restano molto distanti. Ma non ci saranno nemmeno strappi irrimediabili: nessuno metterà veti né farà saltare il tavolo.
E questo perché con ogni probabilità non ci saranno le abituali conclusioni congiunte che ogni tanto qualche governo minaccia di bloccare: al 90% ci sarà soltanto una dichiarazione di Charles Michel, presidente del Consiglio europeo. Segno che le divergenze sono enormi e non è il caso di perdere tempo a litigare per negoziare gli aggettivi da inserire nel comunicato finale. «È meglio avere un buon dibattito senza conclusioni piuttosto che avere conclusioni con un pessimo dibattito» ha riassunto l' altro giorno un ambasciatore durante la riunione preparatoria.
Ma cosa porterà di concreto il vertice? Chi vede il bicchiere mezzo pieno potrà dire che domani tutti i governi avranno dato il loro via libera al lancio di un Recovery Fund. Ma chi lo vede mezzo vuoto continuerà a dire che non c' è intesa sulle caratteristiche del fondo e che dunque i progressi sono soltanto apparenti. La patata bollente finirà nelle mani della Commissione europea, che - su mandato dei leader - il 29 aprile dovrà presentare una proposta articolata per collegare il fondo per la ripresa al prossimo bilancio Ue (2021-2027).
Esercizio non semplice, viste le divergenze. Ma una proposta di partenza è necessaria, dopodiché si potrà negoziare sui dettagli. Le previsioni più ottimistiche dicono che le trattative non si concluderanno prima della fine di giugno.
Nella migliore delle ipotesi.
A Bruxelles hanno ascoltato con attenzione il discorso pronunciato ieri in parlamento da Giuseppe Conte e i partner Ue hanno notato un netto cambio di posizione da parte del governo italiano. Nel giro di una settimana il premier è passato dalla linea «Mes no, eurobond sicuramente sì» a un atteggiamento molto più pragmatico, più orientato al compromesso. Pronto a non fare ostruzionismo sul Mes e a mettere da parte il sogno velleitario degli eurobond per un più realistico Recovery Fund.
Addirittura Roma ha fatto sapere di non volersi incatenare alla proposta francese che prevedeva l' istituzione di un fondo ad hoc per l' emissione di bond comuni tra i governi e di essere al contrario pronta ad accettare il compromesso che vedrebbe il bilancio Ue al centro di tutto. Con la possibilità per la Commissione di emettere obbligazioni per un periodo di tempo limitato, come già previsto dall' articolo 122 del Trattato, partendo dal bilancio Ue.
Ma anche su questa proposta restano diversi interrogativi. Innanzitutto l' entità del Recovery Fund, che al momento oscilla tra i 1.000 e i 1.500 miliardi. La differenza non è da poco. Poi c' è la struttura dei fondi: si tratterà principalmente di prestiti, ma Italia, Francia e Spagna premono per consentire anche sovvenzioni a fondo perduto. I nordici non ne vogliono sentir parlare.
Non va sottovalutata la questione delle garanzie che i singoli Stati dovranno dare perché quelle del bilancio Ue non basteranno. In particolare nel caso in cui - come vorrebbe l' Italia - la Commissione iniziasse già ad anticipare i fondi nella seconda metà del 2020, in attesa che entri il vigore il bilancio da gennaio.
Serve però il via libera di tutti.
Nel frattempo ci saranno a disposizione i 540 miliardi del primo pacchetto economico composto dal Mes (fino a 240 miliardi totali), dai fondi della Bei (200 miliardi) e dal pianto anti-disoccupazione «Sure» (100 miliardi). Il presidente dell' Eurogruppo, Mario Centeno, ieri ha dato nuovamente rassicurazioni sul Mes («Non ci sarà alcuna Troika») e rispolverato il «Bicc», il cosiddetto bilancio dell' Eurozona pensato per la convergenza e la competitività. Secondo il portoghese potrebbe rivelarsi uno strumento utile in questa crisi: «È il caso di riflettere sul suo ruolo e di ripensare alla sua dimensione».