Carlo Bertini per “la Stampa”
Non è bastato il vertice di ieri sera tra governo e capigruppo di maggioranza: servirà il faccia a faccia di oggi tra Mario Draghi e Giuseppe Conte per provare a evitare una lacerazione sulle spese militari in Senato.
E una ancora più pericolosa sul Documento di Economia (Def), il canovaccio della legge di bilancio. Almeno questa è la speranza di Enrico Letta, che lancia (tra le righe) un avviso al suo alleato, quando dice che si rischia «una terza recessione», che tutti hanno «una grande responsabilità» verso il paese. Tradotto, provocare una crisi di governo ora sarebbe una follia.
Ma Conte per ora non demorde, «nessun passo indietro», avverte. Oggi dirà al premier che i 5stelle voterebbero no se l'aumento fosse inserito nel Def ed è convinto di poter derubricare la questione dell'ordine del giorno al decreto Ucraina a una divergenza parlamentare: che «non avrebbe impatto sul governo», assicura la capogruppo Elena Castellone.
Ma il problema esiste, visto che Draghi anticiperà alla prossima settimana la presentazione del Def, dove questa voce potrebbe essere espunta o smussata per far cadere la tensione, visto che il voto dirimente sarà quello in autunno sulla manovra di bilancio. Il clima va raffreddato infatti, visto che la Lega avvisa che «la maggioranza può fare a meno dei grillini».
URSULA VON DER LEYEN OLAF SCHOLZ MARIO DRAGHI
Il governo dunque valuta una richiesta di fiducia al Senato sul decreto Ucraina, per azzerare i voti sugli atti di indirizzo in aula. In commissione (dove forse il voto slitterà a domani) la maggioranza sarà invece costretta a contarsi sull'ordine del giorno della Meloni per l'aumento al 2 per cento del Pil delle spese militari, a cui il governo darà parere favorevole. La Meloni vuole così marcare le divisioni della maggioranza e non si farà sfuggire l'occasione.
I 5stelle pure vogliono marcare il punto e votare no, insieme a Leu. Per questo alla video-call di ieri, a cui non ha partecipato l'irriducibile presidente della commissione Esteri del Senato Vito Petrocelli, il Pd con Alessandro Alfieri (molto vicino al ministro Guerini) e con la capogruppo Simona Malpezzi, ha proposto una mediazione per evitare una spaccatura: un ordine del giorno di tutti i partiti di maggioranza, che contempli una gradualità dell'incremento di spesa.
Pure a questa soluzione i grillini si sono opposti, dicendo che non c'è spazio per una mediazione (che vedrebbe favorevoli Forza Italia e Italia Viva) e che se ne deve parlare in un altro provvedimento. Il che fa pensare ad un rinvio della querelle alla manovra di bilancio. A questo punto si attende il faccia a faccia di oggi tra Conte e Draghi per vedere come finirà.
Draghi ha messo in conto il brutto spettacolo di una frattura in commissione, ma vorrebbe evitare un redde rationem in piena guerra aperta.
Per tutto il giorno ieri è andato in scena un muro contro muro e così fino a sera, tanto che i dem sostengono che questa ostinazione sia dovuta alle votazioni per la leadership di Conte.
«Gli impegni con la Nato sulle spese militari sono stati presi nel 2014, non possono essere onorati dopo due anni di pandemia e in un momento di emergenza energetica. Farlo con una tempistica così stretta sarebbe una presa in giro per gli italiani», ribadisce il capo grillino. «Un riarmo inutile sarebbe una follia».
Ma c'è chi lo strattona senza alcun garbo: «Per avere un like in più, nel difficile confronto elettorale con la sua ombra, Conte ha minacciato la crisi di governo in caso di aumento delle spese militari», lo provoca Matteo Renzi.