CONTI CHE NON TORNANO – C’È UN BUCO NASCOSTO DI 20 MILIARDI CHE RISCHIA DI SBALLARE I CONTI DEL GOVERNO – SONO GLI INTERESSI SUI DEBITI DELLE PUBBLICHE AMMINISTRAZIONI

Dopo l’ultima tranche di pagamenti alle imprese, restano 40-60 miliardi di debiti delle Pubbliche amministrazioni: su questi ci sono interessi dell’8% annuo da pagare. Per gli ultimi 10 anni fa 20 miliardi, tutti fuori bilancio. L’unico modo per non pagarli sarebbe fare un decreto invocando “l’interesse pubblico”…

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Marcello Zacché per “il Giornale

 

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Venti miliardi di euro. L’1,2% del Pil. Due terzi dell’intera legge di Stabilità. Una cifra che azzererebbe del tutto i tagli dalla spending review. Venti miliardi: è questo l’ordine di grandezza di un buco nascosto nei conti dello Stato. La cifra è una stima, prudenziale, calcolata dal Giornale, su un rischio che sta fuori bilancio: gli interessi di mora sui debiti della pubblica amministrazione. I cui destinatari finali, per di più, non sono i creditori di Regioni e Province, ma la speculazione finanziaria, che ha fiutato l’affare.

 

Come noto, lo stock di pagamenti dovuti dagli enti locali di ogni tipo e non versati ai fornitori, accumulato nel tempo, ammonta a una cifra stimata tra 80 e 100 miliardi. Di questi, il Tesoro ne ha resi disponibili 40 agli enti debitori. Ne restano almeno 40-60. In ogni caso si stima che siano 40-50 i miliardi di monte-debito costantemente in ritardo negli ultimi 10 anni. Su questi grava, per legge comunitaria dal 2001, l’interesse di mora, pari al tasso Bce aumentato di uno «spread» fissato di anno in anno.

 

Oggi l’interesse è 8,05% (0,05 +8); ma per gli ultimi 10 anni (oltre scatta la prescrizione) la media è intorno al 9%. 

ospedale ospedale

 

Ebbene, se i creditori degli enti pubblici pretendessero, oltre al capitale, anche gli interessi, lo Stato dovrebbe aggiungere ai suoi debiti qualcosa come 4 miliardi per ogni anno di arretrato. Ipotizzando che su una buona parte di questi il creditore abbia rinunciato o transato con le Regioni, riduciamo prudenzialmente il rischio della metà: restano 2 miliardi l’anno. Che, per gli ultimi 10 anni, fa 20 miliardi di potenziale esborso che non compare sul bilancio, ma che viene regolato, di volta in volta, per cassa.

 

Un rischio solo teorico? Non proprio, perché in tempi di vacche magre e tassi bassi, un rendimento di questa entità non sta sfuggendo ai radar degli speculatori più accorti. Il meccanismo è semplice: il fornitore della Asl di turno (garantita dallo Stato attraverso le Regioni) cede il credito, scontandolo, a intermediari specializzati, che si sostituiscono a lui nella riscossione. Ma mentre il primo si accontenta di norma di chiudere la posizione, tra questi ultimi ci sono quelli che si dedicano proprio all’affare-interessi. Direttamente, o partecipando alle cosiddette «cartolarizzazioni», prodotti che, in estrema sintesi, possono prevedere veicoli finanziari calibrati ad hoc sulla componente interessi.

 

 Ed è esattamente quello che sta succedendo e che si può monitorare da quando la Ragioneria di Stato ha messo online (www.siope.it) lo stato dei pagamenti delle Pa. D’altra parte qual è, oggi, l’investimento che rende l’8% annuo con lo stesso rischio di un Bot? In teoria lo giustificherebbe solo un Btp in scadenza tra 70-80 anni. Molto appetibile, dunque.

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E il pericolo è poi quello che le risorse stanziate e pubblicizzate dal governo per i pagamenti delle Pa finiscano nelle tasche di fondi o società speculative, perché gli interessi di mora, se richiesti tramite decreti ingiuntivi, diventano prioritari. Pur ipotizzando percorsi transattivi, le cifre in ballo restano impressionanti.

 

Il governo potrebbe però svegliarsi e correre ai ripari. La posta in gioco è alta: si va dal default delle aziende locali, allo sperpero degli stanziamenti governativi; dallo sforamento del deficit/Pil, all’aumento del debito pubblico. L’unica soluzione è quella di cancellare per decreto gli interessi maturati finora. Invocando l’«interesse pubblico» (sono a rischio servizi di primaria utilità pubblica) per abrogare una norma nata con un intento deterrente (scoraggiare il ritardo dei pagamenti), ma poi abusata per scopi speculativi. Un tale decreto verrebbe sicuramente impugnato da qualcuno, ma basterebbe l’iniziativa per disinnescare la mina.

 

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