Annalisa Cuzzocrea per “la Repubblica”
MARCO BOSI CON FEDERICO PIZZAROTTI
C’è un’ala moderata, nei 5 stelle, che lavora in silenzio e preme affinché la sospensione di Federico Pizzarotti venga congelata. Un’ala pragmatica, che pensa che la cacciata di un buon amministratore - a un passo dalle comunali del 5 giugno - sia tutt’altro che una buona idea. Alcuni sperano, addirittura, che non si tratti solo di rimandare l’espulsione. Che si riesca a non arrivarci, a calmare l’ira di Beppe Grillo nei confronti di quel “figlio” troppo ribelle allontanato già da tempo.
Del gruppo fanno parte soprattutto i parlamentari che stanno facendo campagna elettorale laddove la vittoria è più vicina. Le loro motivazioni sono arrivate agli esponenti del direttorio. Non ultima, la paura di un ricorso al tribunale già minacciato dal sindaco e dai suoi fedelissimi: «Se va come a Roma - si lascia sfuggire qualcuno - è un bel pasticcio, visto che il giudice ci ha fatto riammettere quattro espulsi su quattro». Fico, Di Maio, Di Battista, Ruocco e Sibilia hanno però chiarito a più riprese: «Decide Beppe».
E così sarà: la scelta sul futuro di Federico Pizzarotti è affidata al garante, che al momento sarebbe tentato dal passo indietro. Davide Casaleggio fa filtrare - dal sempre più fortificato quartier generale di Milano - di volerne restare il più possibile lontano. Continua a lavorare all’associazione Rousseau e al nuovo sistema operativo, ma non vuole entrare ufficialmente nelle decisioni politiche. Non vuole in alcun modo che il suo volto abbia un rilievo pubblico.
Un risultato “attendista” non è però affatto scontato. Perché se anche Federico Pizzarotti ha mandato, nella notte di domenica, le “controdeduzioni” spiegando punto per punto le sue ragioni sulla mancata comunicazione dell’avviso di garanzia, il sindaco di Parma non ha rinunciato a mettere nero su bianco le cose che secondo lui - nel Movimento devono cambiare. Ha ridetto, anche in conferenza stampa, di sentirsi un vero 5 stelle. Ha ricordato il ruolo di Grillo nella vittoria a Parma.
Ha sottolineato come l’intera vicenda nasca da un esposto del Pd. Un partito con cui - nonostante le voci «messe in giro ad arte contro di me, non ho mai cercato accordi». Ma ha anche parlato di un «abuso del diritto», di una «caccia alle streghe», di decisioni diverse a seconda dei casi (tra il suo avviso di garanzia e quelli ricevuti dai sindaci di Livorno e Pomezia Filippo Nogarin e Fabio Fucci), di una «sospensione illegittima» che va revocata.
Soprattutto, in fondo al documento presentato, ha posto sei richieste: ristabilire un confronto «strutturato» tra il centro e le periferie («Non ci si può incontrare solo online», ha detto ai cronisti); indire tavoli di lavoro per condividere linee politiche ed esperienze; studiare una formula efficiente di dialogo tra gli eletti; convocare un meet up nazionale; scrivere regole interne chiare a tutti; espellere i suoi consiglieri infedeli, come fatto altrove.
«Noi non chiediamo la grazia né il perdono», dice il braccio destro Marco Bosi, capogruppo in consiglio comunale. «Significherebbe ammettere colpe che non abbiamo. Stiamo solo spiegando le nostre ragioni». Se le colombe volevano una resa da portare di fronte al capo politico, da Pizzarotti non l’avranno. A Parma in tendono continuare a dire quel che pensano. Anche se questo significasse doverlo fare fuori dai 5 stelle.