Edoardo Cavadini per “Libero Quotidiano”
«Ha detto Graziano che possono rompere le righe anche gli juventini». Graziano non è il rompiballe milanista che la domenica al bar ci rompe i santissimi davanti a una pattuglia di Campari col bianco scolati per buttare giù un camion di patatine. È Claudio Graziano, generale, capo di Stato maggiore della Difesa, che ieri ha accompagnato il premier Matteo Renzi durante la visita al comando italiano della missione Unifil in Libano.
RENZI IN MIMETICA FULL METAL JACKET
E proprio di Matteo era la battutona calcistica, a conclusione del discorso davanti al nostro contingente schierato nella base di Shama, una decina di minuti ripresi nel video integrale postato sul sito del governo (il presidente del Senato Grasso, invece, si è recato dalle nostre truppe di stanza in Iraq). Perché Matteo è così, non se la mena, è giusto stare vicino ai nostri ragazzi impegnati nelle missioni di pace all’estero, ma con understatement, leggerezza, mica si è ingessati come i predecessori con le loro grisaglie, i loro discorsi grondanti retorica, i loro paroloni alati.
RENZI BY BENNY IN MIMETICA MILITARE
No. L’esecutivo Renzi ha cambiato verso, e pure il risvolto dei pantaloni, arrampicato sopra la caviglia, ché la moda vuole così, ovvia. E allora ecco rispolverata la cara mimetica governativa, ma ovviamente “spezzata”, portata con nonchalance sopra un paio di jeans, alla maniera “militar chic” inaugurata già in precedenti visite ai nostri contingenti e che manda in brodo di giuggiole l’aedo presidenziale Filippo Sensi, alias Nomfup, il quale ci ha riempito le gallery fotografiche (pure in bianco e nero, molto potente, tanto evocativo).
E poi via alla rassegna dei militari sull’attenti, schiena dritta, mento, doppio mento e pancetta strizzate sotto le insegne della brigata Taurinense, andatura marziale credibile come quella di chi il militare non l’ha visto neanche col binocolo (Matteo è stato esentato con prole). Ma dopo la rivista dei moschetti viene il momento della rivista (nel senso del teatro) sul palco, dove Renzi - microfono davanti alla bocca - si sente nel proprio ambiente. Infatti il discorso di Natale del premier ai militi schierati è davvero ganzissimo.
Dimenticatevi le dissertazioni soporifere del presidente della Repubblica Mattarella o le lezioncine di bon ton civile della Boldrini. Matteo parla spiccio, fast, per essere comprensibile a tutti. Troppo spiccio e fast probabilmente, perché a tratti viene il dubbio che pure lui non abbia molto chiaro quello che dice. «Abbiamo tanta storia di made in Italy nel mondo - esordisce - ma c’è una specialità che ricordiamo troppo poco: la straordinaria professionalità e abnegazione dei nostri militari all’estero che hanno un made in Italy particolare anche nel modo di fare peacekeeping».
Un made in Italy particolare anche nel modo di fare peacekeeping. Al di là della forma, quanto meno rottamabile, restano parecchi dubbi su cosa volesse intendere. Anche quando vira sul patriottico spinto Matteo ci mette molto del suo per complicare le cose: «Il Tricolore non è solo l’immagine cromatica di una storia, ma è un qualcosa che abbiamo dentro il cuore, nell’anima».
C’è spazio anche per l’attualità dolorosa, il terrorismo, la paura, nel discorso renziano: «Dobbiamo rispondere lavorando costantemente per non farci rinchiudere dalla paura in Patria ma contemporaneamente venendo qua, nei luoghi più difficili, con la consapevolezza e l’orgoglio che siamo l’Italia».
Un po’deboluccia come strategia da opporre ai tagliagole del Califfo. Ma il premier ai simboli è legato: «Il casco blu dell’Onu, simbolo di pace, stabilità, lotta alla disuguaglianza e al fanatismo». E coraggio, come quello dei baschi blu olandesi a Srebrenica. Tra un braccio brandito nel vuoto, una pausa a effetto e svariati sguardi truci, il discorso di Matteo raggiunge piano piano il climax, quando in trance agonistica il premier imbraccia la terza persona e i panni di Giovanni XXIII: «Tornando a casa, la sera vi chiedo di sentire non soltanto la visita del presidente del Consiglio» - la carezza la dispenserà alla prossima missione all’estero? - «vi chiedo di sentire l’affetto, l’orgoglio la vicinanza delle istituzioni a partire dal presidente della Repubblica e fino all’ultimo cittadino» - e qui il colpo a sorpresa, la sparigliata - «che poi in Italia non è l’ultimo, ma il primo».
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È il momento del commiato - e l’ultimo cittadino non ne vedeva l’ora -: «Viva l’Italia» - e va bene - «viva la stabilità» - e qui uno si chiede se è una reminiscenza di Monti, un’invocazione al Parlamento che sta votando la manovra o se si parla dei confini Libano-Israele - «viva la capacità di stare dentro le Nazoni unite a viso aperto, a testa alta e con l’orgoglio di rappresentare il Tricolore». No comment. Alla fine il rompete le righe. E la battutona sugli juventini a microfoni ancora aperti. Poi una manina la fa caritatevolmente sparire dal filmato. Viva!