Andrea Senesi per il Corriere della Sera
Per raccontare la delusione di Milano si può iniziare dalla fine, dalla pubblicazione, ieri pomeriggio sul sito del Coni, del masterplan di candidatura «unitaria». Un metodo che pare la conferma dei presagi espressi già nelle ore precedenti. «È stato approvato senza che le città lo avessero a disposizione», protesta non a caso un minuto dopo Beppe Sala. Un pessimo segnale in fatto di trasparenza, pensano da Palazzo Marino. Solo un assaggio di quello che potrebbe accadere ogni giorno in futuro. Anche per questo Milano si chiama fuori. Per «spirito repubblicano» accetterà, nel caso, di ospitare gare e competizioni, senza però entrare nella futura società di gestione dell' evento.
Lo strappo di Beppe Sala nasce nella tarda serata di martedì, quando sul suo tavolo plana la lettera di Giovanni Malagò, con la quale il presidente del Coni ribadisce la necessità di una candidatura «unitaria», «alla pari». Senza una città capofila. E chi deciderà sulle gare? Chi gestirà i fondi? Chi avrà la responsabilità legale? In questo senso i primi anni della società Expo, coi cantieri bloccati dalle continue liti tra manager, sono per l' ex commissario unico Beppe Sala ricordi troppo freschi per non essere risvegliati. Milano non si fida e si sfila.
Non vuole rischiare un flop, soprattutto dopo aver già perso, e non per responsabilità propria, la partita di Ema, l' Agenzia del farmaco finita poi ad Amsterdam. Sala poi lo dice chiaramente nella lettera di risposta a Malagò, scritta di getto ieri mattina: «Con rammarico constato che nella scelta della candidatura per i giochi olimpici e paralimpici 2026 le ragioni della politica stanno prevalendo su quelle sportive e territoriali». La politica, appunto. Perché il colpo di scena della candidatura tripartita, senza Milano capofila, annunciata martedì dallo stesso Malagò, viene letta da Palazzo Marino come un piccolo golpe del governo giallo-verde ai danni della capitale del Nord a guida pd, oltre che una trovata un po' pilatesca per non tagliare fuori la Torino di Chiara Appendino (che comunque protesta) e la Cortina di Luca Zaia. Perché Milano aveva invece tutte la carte in regola per aspirare al ruolo di leadership. Lo lasciava intendere lo stesso Coni: il dossier di pre-candidatura era il più innovativo del lotto delle tre aspiranti. «Di governance si discuterà una volta che tutti insieme ci saremo aggiudicati i Giochi», ripete ora Malagò.
Ma Sala pretende(va) chiarezza immediata. Il masterplan unitario non è stato concordato con nessuno e nei contenuti rappresenta un antipasto delle future fatiche gestionali di un' Olimpiade in coabitazione.
Le 19 pagine apparse sul sito del Coni non fanno, per esempio, alcun cenno alle cerimonie d' apertura e di chiusura. Nel suo dossier Milano metteva a disposizione San Siro, ora chissà. Magari si deciderà per una triplice cerimonia con Torino e le Dolomiti. Milano prevedeva poi che fosse piazza del Duomo a fare da cornice alle premiazioni. Nel dossier «unitario» spuntano invece altre due medal plaza: la torinese piazza Vittorio e il campo sportivo di Cortina.
L' Aventino gestionale annunciato dal sindaco Sala strappa l' applauso del Pd locale, ma rompe di fatto l' alleanza con la Regione a guida leghista. Attilio Fontana martedì sera s' era allineato col capoluogo nella protesta contro l' ambiguità della scelta che non premiava fino in fondo il protagonismo di Milano. Ieri però il governatore leghista ha scelto un prudente silenzio. È il segretario regionale leghista Paolo Grimoldi a indicare la rotta: «Mi aspettavo una decisione diversa dal Coni, ma ritengo estremamente sbagliata la levata di scudi del sindaco.
Milano non può perdere il treno del sogno olimpico e deve essere della partita olimpica guidando l' organizzazione dei Giochi invernali e facendo da regia per tutti i territori coinvolti. Sala riveda le sue posizioni, per il bene della città».
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