DIES IRAN - DALLA CRISI DEGLI OSTAGGI DEL ’79 AGLI SLOGAN DI BUSH SULL’ASSE DEL MALE: TRA WASHINGTON E TEHERAN UNA GUERRA IN PENOMBRA LUNGA 36 ANNI - MA NEL 2001 FU DECISIVO L’AIUTO “NASCOSTO” IRANIANO AL ROVESCIAMENTO DEI TALIBAN

Il lungo film dei rapporti tra Iran e Usa si è sempre nutrito della retorica dell’“arcinemico” ma oggi Teheran rappresenta per Washington la più credibile diga per contenere l’Isis - Iran, Europa, Stati Uniti hanno capito di avere bisogno gli uni degli altri, avendo nemici comuni. E niente come la paura del nemico comune produce amicizie credibili...

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Vittorio Zucconi per “la Repubblica”

 

IRAN USA IRAN USA

Era l’alba sul Golfo Persico, quel 14 gennaio del 1988, quando la “guerra in penombra”, come fu chiamato da uno storico americano il confronto trentennale fra Washington e Teheran, esplose nella luce di una mina iraniana che squarciò la chiglia della fregata Uss Roberts. Seguì una vera battaglia di due giorni, con morti, feriti, affondamenti, cannonate, velivoli abbattuti che portarono l’America di Reagan e l’Iran di Khomeini a contemplare quell’abisso da quale soltanto ieri, finalmente, si sono ritratte.

 

Ora che un nuovo giorno senza mine in mare sembra spuntare fra la massima potenza dell’Occidente Atlantico e la più importante Repubblica islamica del Vicino Oriente, il lunghissimo film della “Guerra nell’Ombra”, che ancora non ha un finale sicuro, si può rivedere come una sceneggiatura di errori, ignoranza, calcoli sbagliati, fanatismi ideologici e religiosi da entrambe le parti avviluppati attorno a una contraddizione centrale.

IRAN CRISI OSTAGGI IRAN CRISI OSTAGGI

 

Quella di una popolazione iraniana che è sempre stata, mentre bruciava bandiere, imprigionava ostaggi, scagliava fatwe e maledizioni contro il Grande Satana, la più profondamente filo-americana, soprattutto nelle giovani generazioni.

 

Per le generazioni più anziane, invece, e soprattutto negli Usa, il film sembra fissato sui raccapriccianti fotogrammi in bianco e nero dell’assalto e della cattura di funzionari americani nel 1979, un dramma chiuso in due numeri, 444 per 52, i giorni della prigionia e il numero di prigionieri e finito col disastro nel deserto, nella operazione “Rostro d’Aquila” di salvataggio e liberazione lanciata dal presidente Carter.

 

Poi ignominiosamente consumata nella confusione di una tempesta di sabbia. Fu il nadir, il punto più basso nella parabola dei rapporti fra i due Paesi eppure insieme anche il momento di massima risalita, quando Teheran rilasciò i 52 ostaggi appena 20 minuti dopo il giuramento di Ronald Reagan eletto presidente.

AIRBUS IRANIANO ABBATTUTO DA MISSILE USA AIRBUS IRANIANO ABBATTUTO DA MISSILE USA

 

Sembra, rivedendo il lungo film-verità, più angoscioso del pur bellissimo Argo del 2013, che né l’Iran, né gli Usa abbiano mai davvero saputo come guardare l’uno all’altro, oltre agli slogan propagandistici sul “Grand Satana” yankee e sullo Stato Canaglia perno dell’Asse del Male caro a George W. Bush.

 

Furono le potenze alleate vincitrici della Seconda Guerra e l’America di Truman in prima fila a imporre la democratizzazione dell’Iran e a favorire l’ascesa al potere laico di Mohammad Mossadeq, ricevuto solennemente alla Casa Bianca dal Presidente e nominato “Uomo dell’Anno” da Time Magazine.

 

E poi furono gli stessi americani, con la Cia a rimorchi degi inglese nell’Operazione Ajax, a deporlo, a riportare Reza Pahlavi sul Trono del Pavone e proteggere gli interessi petroliferi delle compagnie straniere, soprattutto anglo.

 

AHMADINEJAD AHMADINEJAD

Nella reazione a catena di cause e di effetti impreviste, fu allo Scià — al suo regime sontuosamente armato dalle multinazionali americani della guerra con aerei, carri, mezzi sofisticati, che poi gli ayatollah avrebbero ereditato — insomma fu alla figura di Reza Pahlavi che Washington restò impigliata, quando Khomeini, ospitato e coltivato dagli europei e dai francesi come già Ho Chi Minh padre del Vietnam comu-nista, venne portato al trionfo e il sovrano esiliato negli Usa, i quali si rifiutarono di riconsegnarlo ai nuovi padroni dell’Iran.

 

La collera dei giovani pasdaran eccitati portò a quell’assalto all’ambasciata del quale, secondo le memorie di un altissimo funzionario iraniano, Seyed Mousavian, il supremo ayatollah, infuriato, neppure era stato informato in anticipo.

 

Ma il teatro dell’assurdo, in questa “Guerra Crepuscolare” si fa ancora più surreale, quando Washington sceglie di stare dalla parte dell’Iraq e di Saddam Hussein nella insensata strage della guerra con l’Iran trascinata per quasi tutta la decade degli anni ‘80.

 

Fu personalmente Donald “Rummy” Rumsfeld a portare assistenza al Rais di Bagdad, in dispetto a Khomeini e per compiacere i sauditi, Sunni e dunque nemici giurati degli Shia iraniani. Quello stesso Rumsfeld che, ministro della Difesa nel 2013, avrebbe lanciato l’invasione dell’Iraq e la deposizione di Saddam.

george w bush george w bush

 

Eppure, nella convulsione di uno sviluppo contradditorio, che vedrà un altro paradosso apparente — l’aiuto segreto degli iraniani al rovesciamento del regime Taleban in Afghanistan nel 2001 attraverso la loro influenza sulle popolazioni Pashtu — il filo non si era mai davvero interrotto.

 

Anche Israele, che oggi con Netanyahu grida all’abominio di fronte a un accordo che considera una resa alle ambizioni nucleari di Teheran, riforniva gli ayatollah di armi e tecnologie avanzate, per arrivare poi a essere sospettato, in questo millennio, di avere sabotato con virus e malware i computer che controllano le centrali atomiche in Iran oltre ad avere organizzato l’assassinio di scienziati e fisici.

 

Ma fu proprio l’Iran a fornire a Washington l’occasione per ottenere fondi neri per foraggiare la guerriglia dei Contras in Nicaragua quando furono venduti missili terra-aria all’odiato governo iraniano. Per l’occasione, i messi di Washington portarono in regalo una leggendaria torta al cioccolato, uno dei pochi vizi consentiti, almeno ufficialmente, agli ascetici guardiani dell’ortodossia sciita.

IRANIANI TEHERAN IRANIANI TEHERAN

 

Ora quel filo segreto che è corso per 36 anni fra la guerra aperta e la reciproca, inconfessabile attrazione coltivata anche dagli abilissimi negoziatori iraniani, è venuto finalmente allo scoperto. Con il carburante della necessità, la madre di tutte le invenzioni e di tutte le capriole politiche o strategiche, l’Iran ha scoperto che la fine dell’embargo vale bene la messa a riposo del programma di armamenti nucleare, ora che un’economia costruita sul petrolio e su sovvenzioni in cambio di repressioni barcolla.

 

Gli Usa, non più ricattati dal timore di un conflitto aperto arabo-israliano ma dalla micidiale ascesa del fondamentalismo sunnita, vedono nell’Iran la più credibile diga alla marea degi assassini di Al Baghdadi e la chiave per contenere a est il ritorno del Taliban in Afghanistan e a sud la stabilizzazione della catastrofe irachena. Iran, Europa, Stati Uniti hanno capito di avere bisogno gli uni degli altri, avendo nemici comuni. E niente come la paura del nemico comune produce amicizie credibili.

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