Estratto dell’articolo di Francesco Battistini di corriere.it
Un video d’un minuto, senza sonoro. Le tv del regno lo mandano a rullo: l’invecchiato sovrano in gellaba e fez, vicino il giovane erede Moulay, davanti la nomenklatura di ministri e generali.
«Riunione di lavoro», recitano i sottopancia. E un comunicato ufficiale: «Sua Maestà il Re ha fornito le sue più illuminate istruzioni per condurre con rapidità le operazioni di soccorso approntate sul terreno». Tutto qui? Tutto qui: mentre i leader di tutto il mondo inviano al Marocco messaggi di cordoglio e offerte d’aiuto, a Rabat c’è un monarca che tutti chiamano «il re suo malgrado» e che anche stavolta, più delle altre volte, è un re inesistente. Nei primi tre giorni, nessun discorso al popolo in ginocchio. Nessuna visita nelle zone terremotate, nemmeno a Marrakech. Nessun ringraziamento ai Paesi stranieri. Niente.
Mohammed VI proclama il lutto nazionale e invita solo le 15mila moschee del Marocco a recitare la Preghiera dell’Assente, in onore dei 2.500 morti. Amen. Senza sapere che il vero assente è lui.
(...) «Ragioni di salute» l’avevano portato in Francia il primo settembre, e in parte è così: M6 soffre di sarcoidosi, una malattia immunitaria che minaccia il miocardio, nel 2018 e nel 2020 ha subìto un doppio intervento al cuore a Parigi e a Rabat. «Ma ormai passa più tempo in giro per il mondo che in patria», dice sottovoce un giornalista marocchino: le campagne francesi, la sua villa in Gabon, le ospitate nel Golfo, mille viaggi top secret, uno strano inner circle fatto di familiari e d’amici campioni d’arti marziali che l’accompagnano ovunque e (si dice) lo influenzino nelle scelte.
Anche durante il Covid, chissà dove stava questo re nascondarello.
«Il mistero delle sparizioni di Mohammed VI», ha scritto in aprile The Economist: pure a fine agosto, e per il quarto anno consecutivo, M6 s’è defilato nell’arcipelago delle Alhucemas e non ha voluto né feste, né fuochi d’artificio per il suo sessantesimo compleanno. C’era dunque da sorprendersi della corona desaparecida, lo scorso finesettimana, mentre il Marocco cadeva a pezzi? Sorprende, semmai, che Mohammed fatichi adesso a prendere in mano la situazione.
La prima riunione straordinaria di governo s’è tenuta solo 60 ore dopo il sisma e ai mugugni per la grande assenza e per i ritardi dei soccorsi, s’aggiungono le critiche ai grandi rifiuti: solo pochi Paesi sono stati accettati come donatori d’aiuti, e fra questi la Spagna (che s’è recentemente allineata con Rabat nel riconoscimento del Sahara occidentale) e il Qatar (stretto alleato nel lobbismo marocchino, come dimostrato nello scandalo Qatargate al Parlamento europeo).
Fa molto rumore lo schiaffo alla Francia, anche se prevedibile: i rapporti con l’Eliseo sono gelidi da almeno due anni, dallo scoppio dello scandalo Pegasus sulle intercettazioni, e a Rabat non c’è un ambasciatore francese. Lo scorso marzo, quando Emmanuel Macron minimizzò e disse che «le relazioni col re Mohammed VI sono amichevoli», M6 rispose duro che nient’affatto, «le relazioni non sono né buone, né amichevoli». A Parigi, tutto questo se l’aspettavano. E la stampa francese, lunedì mattina, non s’è tenuta negli attacchi al monarca.
In Marocco, no.
Non esiste una vera opposizione e il ventiduesimo monarca della dinastia alawita, lo «sherif» diretto discendente di Maometto, non può essere criticato apertamente: anni fa, quando una rivista lanciò un sondaggio per misurarne la popolarità, intervenne la censura di Stato «perché nessuno dà le pagelle alla più alta autorità religiosa del Marocco». Il malumore è solo un brusìo, al momento.
Anche se M6, vicino al quarto di secolo sul trono, appare sempre più distante. L’ombra di quel giovane sovrano che a fine anni ’90 era chiamato «il monarca repubblicano», «il modernizzatore laico», veniva elogiato per i brillanti studi d’economista a Nizza, per la scelta d’una moglie dai capelli rossi e dalla fedina borghese come Salma Benani, per le sue riforme del diritto di famiglia in un Nord Africa tribale, per la difesa delle donne. «Sono il primo servitore dei marocchini», diceva allora, e la sua silenziosa riservatezza («il suo corteo reale rispetta pure i semafori!») è sempre stata considerata una virtù.
Che cos’è successo a quel re, riapparso l’altra sera ingrigito, corrugato, quasi piegato? Sulle sue spalle, di sicuro è caduto l’augurio che gli fece il terribile padre Hassan II, prima di morire, quasi una maledizione («spero tu abbia una vita difficile, per poter dimostrare il tuo valore»): dagli anni del qaedismo e degli attentati alle Primavere arabe, dalla crisi climatica alla pandemia, il regno di M6 non s’è fatto mancare nulla. Il vecchio Hassan era famoso per arrivare sempre in ritardo, «un re è più autorevole se arriva dopo».
Il figlio Mohammed ha sempre voluto distinguersi per la straordinaria puntualità: non stavolta.