Federico Fubini per il “Corriere della Sera”
Negli ultimi trent' anni, quasi tutti i leader che si erano alternati nella hall del Centro Congressi di Davos avevano un unico messaggio. Veniva da Tony Blair o Barack Obama così come dal leader cinese Xi Jinping o dal direttore di turno del Fondo monetario internazionale.
Ciascuno lo presentava secondo il proprio stile alla platea dei grandi investitori, ma tornava sempre fuori un punto comune: bisogna aprire le frontiere quanto più possibile agli scambi, perché la dipendenza commerciale dei Paesi gli uni dagli altri avrebbe portato pace insieme alla crescita economica.
Che qualcosa sia cambiato nelle leggi non scritte del World Economic Forum - quelle della globalizzazione post-1989 - si è avvertito ieri quando sul palco è salito Jens Stoltenberg. Ex premier norvegese, qualche mese fa ha congelato la propria nomina a governatore della Norges Bank perché la Nato gli ha chiesto di restare segretario generale per un anno in più.
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Era scoppiata la guerra in Ucraina e l'Alleanza atlantica non voleva aprire scontri interni per sostituirlo. In pochi giorni Stoltenberg ha messo da parte un ruolo di leadership in economia per uno di rilevanza geopolitica. E ieri a Davos ha espresso una visione in linea con questa scelta: «Molti di noi qui e io stesso abbiamo lavorato intensamente per un'economia globalizzata. Il libero commercio ci ha portato prosperità e ricchezza - ha detto -. Ma una parte di questo commercio, alcune interazioni con regimi autoritari, minano la nostra sicurezza. Le relazioni economiche con quei sistemi politici possono creare vulnerabilità».
Tutti in sala hanno pensato a quello che fin qui è il primo passaggio a vuoto nella risposta occidentale a Mosca: l'incapacità dell'Unione europea, dopo tre mesi di guerra, di ridurre le entrate della Russia dal gas e dal petrolio. Putin usa fino in fondo l'arma dell'energia. «La libertà è più importante del libero commercio - ha avvertito Stoltenberg -. Proteggere i nostri valori è più importante che fare profitti».
Ma il segretario generale della Nato non pensava solo alla dipendenza dei Paesi europei dal gas di Mosca. E lo ha messo in chiaro quando ha iniziato a parlare della Cina e al ruolo delle aziende di Stato di Pechino nelle aste per la gestione delle reti di telecomunicazioni in 5G di ultima generazione di vari Paesi occidentali.
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«Quelle reti sono fondamentali, sono una questione vitale di sicurezza», ha avvertito. Il norvegese è stato invece più comprensivo verso la Turchia, con cui si prepara a negoziare perché tolga il veto all'ingresso di Finlandia e Svezia nella Nato. Ursula von der Leyen, per parte propria, si è detta aperta all'uso delle riserve congelate della Banca di Russia per finanziare la ricostruzione dell'Ucraina. Poi ha presidente della Commissione ha accusato: «La Russia usa il blocco dell'esportazione di grano ucraino come un'arma, bisogna trovare il modo di scardinarlo».
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