Pina Francone per il Giornale
Dopo anni in cui se ne è parlato un giorno sì e l'altro pure, la scissione del Partito Democratico è ormai (quasi) realtà.
Salvo clamorosi (ed ennesimi) ripensamenti dell'ultima ora. Matteo Renzi, dopo essere stato il primo promotore dell'inciucio tra il Pd e il Movimento 5 Stelle, è pronto a dire addio alla compagine dem.
L'annuncio della rottura dovrebbe arrivare domani martedì 17 settembre durante la sua ospitata a Porta a Porta, su Rai Uno. Alle ore 18 inizierà la registrazione del programma e nel salotto di Bruno Vespa l'ex premier ufficializzerà il divorzio. È quanto assicurano fonti molto vicine all'ex segretario piddì, come riportato dall'Huffington Post. Ma i fedelissimi fanno anche sapere che "con Matteo non si sa mai fino all’ultimo…", motivo per il quale non è neanche impossibile che Renzi ci ripensi. Così come ci ha già ripensato sul M5s, aprendo incredibilmente all'alleanza di governo giallorossa.
Certo è che il 20 ottobre, a Firenze, si terrà la Leopolda, l'appuntamento renziano per eccellenza che dovrebbe appunto (ri)lanciare l'azione politica del senatore, grazie – appunto – a un nuovo partito. Ecco, anche sul nome aleggia il mistero.
Dal Pd si è alzato un coro di voci preoccupate che chiedono all'ex leader di non rompere: dal segretario Nicola Zingaretti al neo ministro Dario Franceschini, dal sindaco di Firenze Dario Nardella alla neo sottosegretaria allo Sviluppo economico Alessia Morani.
Nelle scorse ore il renzianissimo Ettore Rosato ha parlato di "separazione consensuale", rimandando tutto alla Leopolda. Ma l'impressione è che il 20 ottobre sia troppo lontano e che le carte del divorzio verranno portate e firmate da Renzi su una poltrona dello studio di Vespa.
LE RAGIONI DEI RENZIANI
Goffredo De Marchis per la Repubblica
Altro che separazione consensuale, soft, senza traumi e senza conseguenze per il governo. «Dobbiamo tornare a dettare l' agenda e a sfidare il Movimento 5 stelle su tutto. Dall' immigrazione alla Rai», dice Michele Anzaldi, fedelissimo di Matteo Renzi e pronto a seguirlo nella scissione.
«Sono disperato perché ho un problema nel mio partito. Un nuovo gruppo invece può spingere l' esecutivo a fare più cose, a tenere Di Maio sulla corda per andare avanti», insiste Anzaldi. Replicando così una diarchia dentro il governo, rinnovando il duello quotidiano che abbiamo appena finito di vedere tra Lega e 5 stelle? Questo è il grande dubbio che aleggia sull' intera operazione.
Pier Ferdinando Casini è uno di quelli che nell' ombra più parlano con l' ex premier. Ha cercato di convincerlo a evitare lo strappo.
IL MEME DI OSHO SU RENZI DOPO LA VITTORIA DI ZINGARETTI ALLE PRIMARIE
Un altro partito, il terzo alleato di governo, secondo lui produrrebbe solo confusione. Sarebbe un potenziale fattore di destabilizzazione. «Per un' esperienza che è appena partita non è il massimo», osserva il senatore centrista. Ieri mattina anche Lorenzo Guerini, fedelissimo appena nominato ministro della Difesa, ha avuto modo di parlare con Renzi. Non ne condivide il percorso. La sua corrente Base riformista si terrà fuori dallo strappo. Ma ha l' impressione che la «nave sia ormai è salpata ». E non bastano posti, appelli o promesse ad arrestarla. Potrebbe essere una soluzione scegliere Maria Elena Boschi per la carica di presidente del Pd.
Nome simbolico del renzismo, ha fatto la scelta governista senza rinunciare alle cause con i dirigenti grillini, con lei al vertice una scissione sarebbe ancora meno comprensibile. «Democraticamente la vedrei come una scelta giusta», dice Anzaldi. Naturalmente, anche i renziani leali a Zingaretti, quelli della corrente di Guerini e Luca Lotti, darebbero il loro via libera senza problemi. Se serve a scongiurare la rottura, ben venga. Ma «non è questione di poltrone », è la confidenza di Guerini a chi lo ha sentito ieri. Riflessione sconsolata, di chi non vede più margini.
Purtroppo, non solo Renzi corre verso la scissione. Vasco Errani, ai suoi amici senatori, ha spiegato come andrà a finire: «Noi di Leu rientriamo nel Pd e Renzi si fa una casa sua. Qual è il problema? ». A sinistra quindi c' è chi festeggerebbe. Non Zingaretti però. Non Franceschini. «Spero che non abbia ancora le idee chiare», sottolinea il ministro della Cultura.
In realtà, i tempi sono ormai strettissimi. La Leopolda non sarà il detonatore dello strappo ma la sua celebrazione finale. Questi sarebbero i piani. Già domani potrebbero nascere i gruppi parlamentari autonomi alla Camera e come sottogruppo nel Misto al Senato. Renzi non pensa a un partito in senso stretto, ma a un movimento sul modello dei comitati di Azione civile capace di attrarre anche pezzi del centrodestra, da Forza Italia al Centro. «Non farà un partito che si presenta alle regionali, per esempio», racconta un renziano doc. «Dev' essere un progetto nuovo in tutti i sensi».
Ma per fare cosa?
La terza colonna del Conte bis, in grado di conquistarsi spazi tra i moderati mentre il Pd consolida la sua vocazione di sinistra. Nelle versione buonista, la scissione avrebbe quindi solo effetti positivi per la durata del governo. Ma non è detto che sia questo, alla fine, l' esito di uno "scisma". Del resto, ragionava sempre in questi giorni quella vecchia volpe di Casini con un amico, una scissione si fa solo con un buon motivo: avere le mani libere e decidere se e quando togliere la fiducia all' esecutivo giallo-rosso. Aggiungere un altro colore insomma diventerebbe un guaio e non un aiuto.
Renzi ha dato un contributo fondamentale alla nascita del governo. Ha sbloccato la situazione, ha annunciato di aver messo da parte il risentimento. Ma vede anche i limiti di una simbiosi tra Pd e 5stelle, lo spostamento troppo a sinistra dell' asse. E punta a riequilibrarlo. Si capirà dal pubblico della Leopolda, dai vip in particolare, quali mondi è in grado di attrarre e quali finanziatori. C' è un mondo della finanza e dell' imprenditoria che Renzi non ha mai trascurato in questi mesi. Ha tenuto i contatti, ha presenziato agli appuntamenti giusti. Se il progetto della Cosa renziana partisse trovare le risorse non sarà una questione vitale.
BETTINI
Tommaso Labate per il Corriere della Sera
Goffredo Bettini, un mese fa, ampliando la proposta di Renzi dell' accordo di emergenza Pd-M5S fino a «un governo di legislatura», lei ha varato virtualmente l' inizio dei lavori di quello che sarebbe diventato il Conte 2.
(…)
L' alleanza Pd-M5S deve essere "per sempre"?
«Deve maturare, progredire. Non sarà semplice, ovviamente. Sarà un percorso duro, perché fino ad ora siamo stati due mondi lontani e persino nemici. Ma ora Pd e M5S devono dialogare, superare le reciproche pregiudiziali, mischiare i loro rispettivi elettorati. Solo allargando il campo democratico si può sfidare Salvini».
Non s' iscrive al gruppo di chi dà Salvini per politicamente spacciato?
«Chiacchiere. Basta guardare i sondaggi, che danno la Lega ancora saldamente come primo partito. Salvini è un populista - attenzione, un populista, non un fascista - che ha costruito un movimento radicato nei territori e con delle solide alleanze internazionali.
Gli è stato possibile dando delle risposte a domande vere poste da una società che si è sentita poco sicura e poco protetta nei processi globali. Risposte sbagliate, in certi casi folli. Ma sono risposte. Spetta a noi darle in senso opposto. E non ci bastano le lotte pur sacrosante sui diritti individuali e il risanamento nella dimensione del governo. In questo modo ci è sfuggito il popolo».
Pd e M5S dovrebbero iniziare con l' allearsi già alle prossime regionali?
«Spero di sì. Fosse per me, andrebbe fatto ovunque. Tuttavia non possiamo calare dall' alto uno schema che rischia di essere improvvisato.Bisogna valutare la maturità dei processi unitari situazione per situazione, senza forzature e imposizioni. Perché altrimenti ci potrebbe essere da qualche parte una reazione di rigetto».
Non pensa che una legge elettorale maggioritaria possa favorire un' alleanza duratura tra Pd e M5S?
«Sono per il maggioritario vero. E il maggioritario vero può essere solo a doppio turno. Abbiamo sperimentato invece un maggioritario anomalo e distorto che oggi, in un Parlamento sostanzialmente tripolare, può dare risultati squilibrati e non rappresentativi dell' elettorato.
Dopo la sconfitta del sì al referendum del 2016, l' idea del maggioritario virtuoso ha purtroppo subito un colpo. Non mi sembra dunque un' eresia discutere dell' opzione proporzionale. Il Pd lo farà collegialmente nella direzione del partito».
Non teme che i M5S possano ricadere tra le braccia di Salvini?
«Lo escludo. Salvini tenta una rivoluzione conservatrice, fondata sul ritorno ad antiche certezze come famiglia, territorio, impresa. Le ripropone guardando all' indietro, in una forma regressiva. Il M5S, al contrario, esalta il protagonismo individuale e la libertà delle singole persone.
Strutturalmente il M5S e Salvini sono agli antipodi».
Teme la scissione di Renzi dal Pd?
INCONTRO IN STREAMING TRA RENZI E GRILLO
«Intanto non lo chiamerei affatto uno scisma. Lo scisma è una rottura dottrinaria irreparabile, non è questo il caso. Parliamoci chiaro: da quanto tempo è sul tappeto la questione, posta da molti, amici e militanti, di una non piena rappresentanza da parte del Pd di istanze e sensibilità più riformiste, liberali e moderate? Da tanto, troppo tempo. Secondo me sbagliano e preferirei restassero.
Ma se a un certo punto Renzi e quest' area decidessero di tentare un loro movimento autonomo, non griderei allo scandalo. L' importante è che tutto rimanga sui binari del dialogo, di un rapporto costruttivo, direi di amicizia. Perché l' essenziale è ritrovarsi alleati nel centrosinistra per battere Salvini. E il male della divisione può diventare un bene, articolando e allargando la proposta delle forze democratiche».
Conte può essere il federatore che tiene insieme tutti, il Pd, il M5S, Renzi? Può essere il nuovo Prodi?
MATTEO RENZI ABBRACCIA ANDREA MARCUCCI
«Prodi è stato un gigante, in grado di battere Berlusconi per due volte. Il ruolo di Conte dipenderà soprattutto se riuscirà a consolidare una speranza per l' Italia».
grillo renzi matteo renzi matteo salvini e matteo renzi si incrociano in senato MATTEO RENZI FRANCESCO BONIFAZI MATTEO RENZI