Giuseppe Liturri per “la Verità”
GIUSEPPE CONTE PAOLO GENTILONI ROBERTO GUALTIERI
A proposito della riforma del Mes, dopo i troppi, tanti, sì già detti in Europa dal ministro dell' Economia, Roberto Gualtieri (e anche dal suo predecessore Giovanni Tria, a dirla tutta), ieri non c' era da aspettarsi sicuramente un brusco dietrofront.
Ma il ministro, in audizione davanti a ben sei Commissioni parlamentari riunite congiuntamente, è riuscito comunque a sorprenderci. Si è trincerato dietro la differenza banale tra approvazione della riforma (per lui cosa buona e giusta) e utilizzo dei prestiti del Mes (cosa controversa) e, per tutto il resto, ha affermato i suoi dogmi, senza possibilità di replica.
A suo dire, egli finora ha rispettato rigorosamente il mandato parlamentare, nessuno dei pur numerosi rilievi sollevati dai parlamentari è fondato e, pertanto, il consenso politico alla riforma, che di lì a poche ore sarebbe stato chiamato a fornire durante la riunione dell' Eurogruppo, è del tutto coerente con il mandato ricevuto. Il 27 gennaio la riforma del trattato sarà firmata e l' Italia non porrà alcun veto.
In ogni caso, fino a tale data, il Parlamento avrà tutto il tempo per valutare. Ma attenti a non fare scherzi, che i mercati potrebbero non prenderla bene. La conferenza stampa finale dell' Eurogruppo, terminata intorno alle 19.40, è filata via senza intoppi.
DAVID SASSOLI ROBERTO GUALTIERI
Di fronte a tale spavalda sicumera, condita da una minaccia nemmeno tanto velata, c' è solo da allargare le braccia sconsolati, come si farebbe davanti a chi, ad esempio, sosterrebbe ancora oggi la dottrina tolemaica negando quella copernicana. Ma tant' è.
Allora ci siamo pazientemente muniti di un interessante studio in materia pubblicato a maggio scorso e cofirmato dal direttore degli affari legali del Mes Jasper Aerts, e abbiamo cercato di fare il controcanto al ministro, utilizzando una fonte al di sopra di ogni sospetto.
Il ministro ha magnificato le virtù del nuovo prestito-paracadute (backstop) che il Mes dovrebbe poter erogare a favore del Fondo di risoluzione unico (Srf) a partire dal 2024. Secondo lui, la discussione circa l' anticipo al 2022 di questa linea di credito di 68 miliardi, con scadenza tre anni rinnovabili, è un tema di cui andar fieri, in quanto deriva da una positiva valutazione del rischio delle nostre banche, che hanno ridotto considerevolmente i crediti inesigibili negli ultimi anni.
Quello che il ministro non ci ha detto è che tale Fondo era pari, a luglio 2019, a soli 33 miliardi e dovrebbe raggiungere circa l' 1% dei depositi dell' eurozona entro la fine del periodo transitorio (2023). Si è anche guardato bene dell' aggiungere che l' intervento del Srf in caso di dissesto bancario presuppone il bail in fino all' 8% del passivo della banca coinvolta, il che, come abbiamo visto in Italia, solo qualche anno fa, non è proprio un fattore di stabilità e tranquillità per i risparmiatori.
Perfino la modifica delle Clausole di azione collettiva (Cac) per consentire una ristrutturazione del debito - da doppio voto dei creditori (su tutti i titoli in circolazione e su ciascuna serie) a voto unico (solo su tutti i titoli), in modo da impedire la creazione su qualche titolo di minoranze che possano bloccare tutto - è un successo agli occhi di Gualtieri.
meccanismo europeo di stabilita' 3
Che ha evidenziato l' ovvietà della richiesta di attivazione da parte dello Stato emittente. Anche su questo tema, Gualtieri ha omesso di aggiungere un dettaglio essenziale, che scatenerebbe un devastante circolo vizioso: in caso di difficoltà finanziarie di uno Stato, al fine di convincere gli altri Stati membri a erogare il prestito, esso ha un forte incentivo a richiedere la ristrutturazione (in futuro più facilmente approvabile) proprio al fine di rendere il proprio debito sostenibile e accedere quindi al prestito. E quella clausola diventa come offrire, senza nemmeno tanti sforzi, una pistola per far sì che lo Stato membro prema il grilletto.
roberto gualtieri claudio borghi
Ma c' è di peggio: gli investitori, avendo contezza di questo probabile scenario, cercheranno di disinvestire rapidamente, creando instabilità finanziaria e quindi contribuendo all' avveramento dell' evento temuto. Perfino per l' avvocato del Mes questo è uno scenario possibile («non è situazione da bianco o nero, solo il tempo lo dirà»), ma non per Gualtieri, che ci propala l' ennesima ovvietà costituita dall' assenza della ristrutturazione automatica preventiva del debito. E ci mancherebbe altro!
Non è rilevante la discrezionalità concessa agli Stati nelle decisioni, poiché il Mes serve a imporre la disciplina dei mercati, che costringono a votare all' unanimità anche la decisione di premere il grilletto su sé stessi, e ci riesce benissimo. A nulla sono valsi i rilievi del deputato Stefano Fassina o del senatore Alberto Bagnai, rispettivamente finalizzati a evidenziare l' anacronismo di parametri di valutazione (in sostanza, il Patto di stabilità) che appartengono a un' altra era geologica e a chiedere conto di che fine avesse fatto la terza gamba dell' unione bancaria, cioè la garanzia comune sui depositi.
Gualtieri ha ammesso che ci sono contrasti con la posizione tedesca: e allora perché dire sì al Mes senza contemporaneamente avere risultati su quel fronte? E se ci dicessero di no?
Gualtieri ha interpretato a modo suo la risoluzione dell' 11 dicembre 2019: «mantenere la logica di pacchetto»; «escludere interventi di tipo restrittivo sulla detenzione di titoli sovrani da parte di banche»; «assicurare il pieno coinvolgimento del Parlamento in tutti i passaggi del negoziato sul futuro della Ue e sulla conclusione della riforma del Mes», a suo parere, gli danno un ampio mandato.Bisognerà riscrivere il vocabolario della lingua italiana.
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