GROS GUAI PER PITTIBIMBO - L’ECONOMISTA CRUCCO DANIEL GROS: “L’ITALIA È DI NUOVO L’ANELLO DEBOLE D’EUROPA - SONO MISURE ININFLUENTI IL TETTO AGLI STIPENDI DEI MANAGER - GLI 80 EURO? NESSUNO CREDEVA A CHISSÀ QUALE FIAMMATA DELLA DOMANDA”

“Ora il tema delle coperture finanziarie è reso più pressante dal fatto che la spending review non va bene. Né ci si può aspettare uno stimolo alla crescita solo perché in Parlamento si accumulano chissà quante riforme. L’ostacolo alla crescita? Burocrazia inefficiente, la giustizia è peggiorata. E troppa evasione”…

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Eugenio Occorsio per “La Repubblica

 

Daniel Gros Daniel Gros

«L’Italia è tornata ad essere l’anello debole dell’area euro. Eppure l’Europa le getterà l’ennesima ciambella di salvataggio». Daniel Gros, già consulente del Fondo Monetario e della Commissione Ue, oggi direttore del Centre for European Policy Studies, è fra gli economisti tedeschi uno dei meno ortodossi.

 

E valuta con pragmatismo la situazione. «Il primo motivo per la benevolenza europea è un paradosso: la crescita è debole ovunque. Non così debole come in Italia, però tale da non consentire a nessuno di salire in cattedra, neanche alla Germania».

 

MATTEO RENZI MATTEO RENZI

E le altre ragioni?

«Non c’è iniziativa di un singolo Paese che tenga: l’interpretazione del Fiscal Compact, compreso l’allentamento dei termini e dei parametri, spetta alla Commissione. Che decide con autonomia sulla base delle sue opportunità politiche. E questa Commissione non potrà non avere un occhio di riguardo per l’Italia.

 

Juncker, malgrado fosse lo spitzenkandidat (capolista, ndr) dei popolari, è stato eletto grazie ai progressisti italiani. E tutti vedono in Renzi il vincitore delle elezioni, per di più con un’aggressiva campagna pro-Europa senza rifugiarsi nel vittimismo dell’arcigna Bruxelles. Così si è guadagnato la gratitudine della Commissione».

 

Però per modifiche sostanziali serve un passaggio all’Ecofin, con maggioranze qualificate in voti dai quali, se si parla di Italia, il nostro Paese è escluso.

«Persino in queste occasioni l’orientamento politico della Commissione è decisivo. E nessuno può permettersi di essere rigido perché la crescita è debole ovunque. Certo, ciò premesso, la situazione per l’Italia è davvero pesante».

giancarlo padoan giancarlo padoan

 

Ma perché non si riesce ad imboccare il cammino dello sviluppo?

«Nessun governo, per quanto volitivo, può ricreare le basi per la crescita in pochi mesi ma ha bisogno di anni. Nessuno credeva in chissà quale fiammata della domanda per gli 80 euro. Altrettanto populistiche e ininfluenti sono misure come il tetto agli stipendi dei manager specie se non si controlla che quel manager abbia più incarichi.

 

Ora il tema delle coperture finanziarie è reso più pressante dalla circostanza che la spending review non va bene. Né ci si può aspettare uno stimolo alla crescita solo perché in Parlamento si accumulano chissà quante riforme. Ciò detto, mi aspettavo di meglio: non si può non vedere che un grosso aggiustamento fiscale è stato fatto con i governi Monti e Letta, e i modelli economici dicono che quando c’è un aggiustamento forte la domanda dopo un iniziale ulteriore calo tende a ripartire. Ma così non è in Italia».

 

angela merkel 1 angela merkel 1

E allora?

«Pesano le ragioni di fondo. L’ostacolo alla crescita costituito dall’inefficienza della burocrazia e della giustizia è peggiorato. La riforma non si risolve con una legge ma ha bisogno di un’implementazione capillare, affidata alla volontà non di un leader carismatico ma di migliaia di funzionari volenterosi. Altrettanto per l’evasione: non si può scaricare il peso fiscale sui pochi sfortunati che pagano perché alla fine questi abbandonano il Paese.

 

Quanto alle imprese, devono rendersi conto che hanno perso il treno della globalizzazione e la loro quota nell’export dell’eurozona scende: accettino di consorziarsi, modificare i sistemi produttivi e uscire in molti casi dall’area grigia del semi-sommerso perché così restano escluse dai grandi database e quindi dal circuito delle forniture e degli appalti internazionali».

jean claude juncker jean claude juncker

 

Ma l’idea che la Germania investa parte del suo surplus commerciale in investimenti paneuropei in grado di risvegliare la domanda un po’ dappertutto?

«É una proposta ricorrente ma non verosimile. Gli investimenti pubblici in Germania sono governati in minima parte dallo Stato e per lo più affidati ai singoli laender. E perché le autorità locali siano convinte ad investire in nome dell’Europa, i tempi non sono maturi».

 

 

 

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