HILLARY SI BUTTA A SINISTRA - CON IL PRIMO COMIZIO PER LE PRESIDENZIALI, LA CLINTON ASSECONDA LA BASE PIÙ PROGRESSISTA DEI DEMOCRATICI E SI RIFÀ IL LOOK: NEL 2007 PERSE LE PRIMARIE CONTRO OBAMA PERCHÉ CONSIDERATA ALTEZZOSA E TROPPO LONTANA DALLA GENTE COMUNE

È la sterzata a sinistra che la base del suo partito invocava - La stessa base che in questi giorni si è mobilitata per far deragliare il progetto più liberista di Obama, il trattato di libero scambio con l’Asia-Pacifico - I nuovi leader che interpretano l’atmosfera del momento sono la senatrice Elizabeth Warren e il sindaco di New York Bill de Blasio...

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Federico Rampini per “la Repubblica”

il comizio di hillary clinton il comizio di hillary clinton

 

«L’America l’ha ancora un appuntamento con il destino, come disse Franklin Roosevelt. Ne farò una società più giusta, un’economia meno diseguale, una democrazia più sana, e la potenza leader nelle energie rinnovabili».

 

Il primo comizio di massa per la campagna presidenziale del 2016, Hillary Clinton la fa in un luogo simbolico: Roosevelt Island sull’East River, l’isolotto dedicato al presidente di quattro mandati, il più grande leader nella storia nazionale e un gigante del XX secolo, il progressista che salvò il paese dalla Depressione e il mondo dai nazifascismi. È una partenza fortunata: la splendida giornata di sole attira sull’isola newyorchese una folla immensa e festosa, per la gioia di Bill e di Chelsea in prima fila ad ascoltare il comizio.

 

il comizio di hillary clinton 3 il comizio di hillary clinton 3

Hillary fa sfoggio anche di humour, affronta con leggerezza la questione della sua età (67 anni oggi, se vince entrerà alla Casa Bianca nel suo 70esimo). «Non sarò il presidente più giovane. Ma sarò la donna presidente più giovane nella storia d’America. E almeno nel mio caso avrete un vantaggio, non vedrete i miei capelli imbiancarsi durante il mandato: li tingo già da anni».

 

Divertente anche l’affondo contro i repubblicani, irrisi per l’affollamento di candidature e le loro ricette ultraliberiste già fallite in passato: «La corale dei repubblicani canta sempre la stessa canzone, Yesterday dei Beatles, quella che dice io credo nel mio ieri».

il comizio di hillary clinton il comizio di hillary clinton

 

Circondata dalla sua constituency storica — fu senatrice di New York per otto anni — Hillary tiene il suo comizio dirimpetto al Palazzo di Vetro dell’Onu, «dove ho avuto l’onore di rappresentare il mio paese da segretario di Stato». È uno dei rari accenni alla politica estera: Hillary sa che questo è il suo punto di forza, ha un’esperienza che nessun candidato repubblicano può esibire. «Ero nella stessa stanza con Obama quando partì l’ordine di uccidere Bin Laden. Ho saputo tener testa a Putin. Farò qualsiasi cosa sia necessario per rendere sicuri gli americani». Ma non è sulla politica estera che si giocherà quest’elezione, Hillary lo sa.

 

Dopo aver reso un omaggio vibrante ai due ultimi presidenti democratici, il marito Bill e «Barack Obama che ho servito lealmente, dopo essere stata sua rivale per la nomination», Hillary mette a fuoco il problema di oggi: una crescita economica prolungata e tuttavia ancora troppo diseguale.

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«La fede che anima l’America è questa: la vera prosperità deve essere ben distribuita, tutti vi devono partecipare. Il patto sociale di base è che se tu fai la tua parte, devi ottenere i risultati che meriti. Negli anni in cui governava Bill abbiamo avuto forte crescita e bilancio in pareggio. Con Obama ci siamo salvati dal baratro di una depressione, è stata rilanciata l’industria automobilistica, 16 milioni di cittadini hanno avuto l’assistenza sanitaria. Però le vostre buste paga sono immobili, invariate da anni».

 

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È la sterzata a sinistra che la base del suo partito invocava. La stessa base che in questi giorni si è mobilitata per far deragliare il progetto più liberista di Obama, il trattato di libero scambio con l’Asia-Pacifico. I nuovi leader che interpretano l’atmosfera del momento sono la senatrice Elizabeth Warren e il sindaco di New York Bill de Blasio. Hillary ha colto il messaggio, e l’avvio della campagna è spostato a favore dei temi di sinistra.

 

Lo dice il programma elettorale che propone: «Riforma fiscale per colpire le multinazionali che spostano i profitti nei paradisi offshore, e per premiare i lavoratori. Incentivi alle imprese che alzano i salari. Una corsia veloce per la cittadinanza agli immigrati clandestini. E l’America sotto la mia presidenza diventerà la potenza leader nelle rinnovabili, per la lotta al cambiamento climatico».

 

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Affronta anche l’argomento spinoso che molti considerano il suo vero punto debole: denaro e politica. Lei e il marito sono al centro di polemiche per i 25 milioni guadagnati come parcelle da oratori, solo negli ultimi 16 mesi. Più la questione delle donazioni di tanti governi esteri (inclusi regimi autoritari e liberticidi come l’Arabia saudita) alla loro fondazione filantropica.

 

Hillary promette che darà battaglia «per fermare il flusso di finanziamenti opachi alla politica, ridurre il peso dei grandi interessi capitalistici nelle nostre elezioni». Promette perfino di sfidare su questo punto la Corte suprema, visto che una sentenza dei giudici costituzionali nel 2010 allargò ulteriormente la libertà delle grandi imprese di donare ai comitati elettorali. «Se necessario proporrò un emendamento alla Costituzione, per correggere quella sentenza».

 

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Attacca un sistema economico nel quale «25 gestori di hedge fund guadagnano in un anno più di tutti i nostri insegnanti delle scuole materne messi assieme; e come non bastasse l’aliquota fiscale sui capital gain degli hedge fund è inferiore a quella su molti salari di lavoratori dipendenti». Cavalca con vigore quello che qui in America si chiama “populismo”, termine che non ha il significato spregiativo prevalso in Europa: sta semplicemente per popolo, quindi politiche progressiste.

 

«L’America non può avere successo, se non avete successo tutti voi». Lei che ormai è ricca e privilegiata, per mettersi in sintonia con la maggioranza della sua base ritrova una storia di povertà e privazione scavando nel suo passato familiare. È la storia di sua mamma Dorothy. «Fu abbandonata dai genitori all’età di 14 anni — racconta Hillary — e per mantenersi dovette fare la donna delle pulizie».

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È un cambio di stile che non passa inosservato. Fa parte della trasfigurazione della candidata, questa “Hillary 2.0” ha fatto tesoro delle sconfitte passate. Contro Obama nel 2007, la accusarono di essere troppo regale, altezzosa, di dare per scontata la propria vittoria.

 

Nei paragoni con il marito Bill, carismatico ed empatico, lei viene sempre descritta come fredda e calcolatrice. Lo sforzo visibile in questo comizio è costruire un’altra Hillary, calda e comunicativa, non solo competente e carica di esperienza. «L’America che voglio — conclude — è quella in cui un padre potrà dire a sua figlia: tutte le possibilità ti sono aperte in queste paese, puoi diventare quello che vuoi, anche presidente degli Stati Uniti».

 

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