Amedeo La Mattina per la Stampa
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Cosa andranno a dire al presidente Sergio Mattarella non è ancora chiaro. Certo, il centrodestra si presenterà con una delegazione unitaria per rappresentare plasticamente chi ha vinto le elezioni e vanta il maggior numero di parlamentari. Dovrebbe essere quindi questa coalizione ad avere il diritto a formare il governo. Ma come, con che tipo di incarico e se l' interlocutore è sempre e solo Luigi Di Maio non trova concordi Matteo Salvini, Silvio Berlusconi e Giorgia Meloni.
C' è agli atti un comunicato finale del vertice di Arcore con il quale i tre leader «rivendicano la necessità che, dopo anni di governi nati da giochi di palazzo, il prossimo esecutivo sia rispettoso della volontà espressa dai cittadini nelle elezioni dello scorso 4 marzo. Quasi il 40 per cento degli italiani ha scelto di dare la propria fiducia ai partiti del centrodestra ai quali oggi spetta, indubbiamente, il compito di formare il governo».
Subito dopo sono partite le veline, le interpretazioni totalmente divergenti, come se all' incontro avessero partecipato persone diverse. Per inciso, questa volta non c' era nessuno ad accompagnare i tre protagonisti della coalizione. Una di queste interpretazioni di come sia andato il vertice spiegava che Salvini sarebbe pronto a presentarsi in Parlamento con un incarico esplorativo e cercarsi i voti necessari alla fiducia sulla base di una proposta programmatica. Interpretazione radicalmente smentita dall' interessato che non intende scovare voti come «se fossero funghi nel bosco».
Anzi considera questa ipotesi esplorativa un tranello, un modo per bruciarlo: vuole prima provare, ancora una volta, un' intesa con Luigi Di Maio, considerando prioritario il dialogo con i 5 Stelle. Cosa che invece Berlusconi vive come un pugno nello stomaco. E in effetti durante il breve vertice ad Arcore («appena il tempo di prendere un caffè», minimizza il leader della Lega) queste divisioni sono emerse chiare. L' ex Cavaliere ha sostenuto che la ricerca dei voti in Parlamento deve avvenire «a 360 gradi», senza escludere nessuno, nemmeno i parlamentari del Pd.
BERLUSCONI ED IL SUDORE DI SALVINI
«I Democratici - ha detto l' ex premier - non sono in grado di prendere una decisione unitaria sul governo con i 5 Stelle. Finirebbero per spaccarsi. In Parlamento invece potrebbe accadere che noi troviamo i voti per una maggioranza o l' astensione per un governo di minoranza. In ogni caso non credo che i grillini tolgano l' intollerabile veto nei miei confronti».
Anche Meloni non si fa facili illusioni sulla possibilità di trovare un accordo con Di Maio e quindi, come ha sempre detto, bisognerebbe provare la sorte in Parlamento. «No, niente esplorazioni al buio, tentativi che possono portare a una marmellata - ha replicato Salvini - e poi magari a me dei voti del Pd non interessa niente. Se non riusciamo a fare il governo allora meglio andare di nuovo a votare». Affermazione che ha mandato il caffè di traverso a Berlusconi. Un caffè amaro che il leader della Lega ha però addolcito giurando che non tradirà mai l' unità del centrodestra, non consentirà a Di Maio di dividere la coalizione. «Anche perchè - ha aggiunto Meloni - se riescono a dividerci, i 5 Stelle diventano il primo partito e avrebbero gioco facile a dettare l' agenda. Se noi rimaniamo uniti, siamo noi a dare le carte».
L' ex Cavaliere ha annuito, ma in cuor suo non si fida di questa liaison con Di Maio. E ha insistito sull' idea di verificare in Parlamento se c' è una maggioranza che prescinda dai pentastellati come movimento. La sensazione è che nessuno, dentro e fuori il centrodestra, abbia le idee chiare. A cominciare dal fatto che ogni riflessione, su governi di minoranza e incarichi esplorativi, non sembra tenere conto delle intenzioni del capo dello Stato. Intenzioni che secondo Salvini e Meloni spingono verso l' intesa M5S-Pd. L' impressione è che il secondo round di consultazioni sarà un altro buco nell' acqua.