1 - TUTTI I TRUCCHI DI "BIBI IL MAGO" IN ATTESA DEL RITORNO DI TRUMP YAIR LAPID "
Estratto dell’articolo di Fabiana Magrì per “la Stampa”
BENJAMIN NETANYAHU VISITA I SOLDATI ISRAELIANI NELLA STRISCIA DI GAZA
[…] Chi si aspetta come scontate le dimissioni di Benjamin Netanyahu, a un certo punto verso la fine della guerra con Hamas, non conosce l'arsenale di risorse di "Bibi hakosem", Bibi il mago, uno dei suoi leggendari soprannomi. Quello che per i suoi oppositori sembra inconcepibile, Netanyahu ha sempre dimostrato di saper trovare il modo di realizzarlo.
Nel corso della sua lunga carriera da premier, è il più longevo primo ministro della storia di Israele, Netanyahu ha dimostrato un'instancabile resilienza alle richieste di dimettersi. Non l'ha fatto dopo l'incriminazione con l'accusa di corruzione (il processo è in corso). Né in nove mesi di proteste di piazza contro la contestata riforma giudiziaria.
Considerato che ad oggi non ha ancora pronunciato una inequivocabile assunzione di responsabilità per le circostanze che hanno condotto al massacro del 7 ottobre e alla guerra a Gaza, non ci sarebbe da stupirsi se nei suoi programmi, per il futuro, si vedesse ancora saldo in sella al Paese.
Se poi nel futuro degli Stati Uniti ci fosse la rielezione di Donald Trump […] il premier israeliano potrebbe immaginare per sé anche migliori prospettive. Oltretutto, ha spiegato il professor Amichai Cohen dell'Israel Democracy Institute al sito Jewish Insider, dal punto di vista legale «non è del tutto chiaro cosa significhi responsabilità» e quanto il concetto sia sovrapponibile a quello di colpevolezza.
DONALD TRUMP BENJAMIN NETANYAHU
«In Israele non esiste una regola che prevede le dimissioni immediate quando ci si assume la responsabilità», ha detto Cohen. E anche le commissioni d'inchiesta nazionale […] hanno lo scopo di indagare sui problemi sistemici, non di attribuire responsabilità personali.
[…] Per adesso, i sondaggi non sono a favore di Netanyahu. Nonostante la consapevolezza della pesante responsabilità dei leader militari – loro sì, se la sono pubblicamente assunta – gli israeliani oggi preferiscono riporre la fiducia nel Ramatkal, il capo di stato maggiore, piuttosto che nel primo ministro.
Il più tenace biografo non ufficiale di Netanyahu, il corrispondente politico di Haaretz, Anshel Pfeffer, ha pubblicato ieri una feroce analisi in cui accusa il premier di aver già lanciato la sua campagna per la rielezione e di manovrare il trauma e la rabbia degli israeliani, in un momento in cui il sostegno all'idea di uno stato palestinese è ai minimi storici, per adattarli alle sue esigenze elettorali.
benjamin netanyahu yoav gallant benny gantz
In una dichiarazione alla commissione per gli affari esteri e la difesa della Knesset, lunedì, Netanyahu ha paragonato «il bilancio delle vittime di Oslo a quello del 7 ottobre», un riferimento agli accordi del 1993 con cui di fatto è nata l'Autorità palestinese. E ha rafforzato la retorica anti Ramallah dicendo che l'unica differenza tra Anp e Hamas è che la prima vuole distruggere Israele per gradi mentre il secondo vuole farlo immediatamente.
Il giorno successivo, martedì, il leader della coalizione al governo ha pubblicato sui social media un video in ebraico – quindi indirizzato a un target interno – in cui ha giurato che «non permetterà a Israele di ripetere gli errori di Oslo» e che Gaza «non sarà né Hamastan né Fatahstan».
proteste sotto casa di netanyahu 3
È a questo video che si riferisce Pfeffer ascrivendo al «pomeriggio del 12 dicembre, giorno del 67esimo giorno della guerra di Israele contro Hamas», l'inizio della campagna elettorale di Netanyahu. A rafforzare l'idea, ancora il quotidiano Haaretz ieri ha riportato che la settimana scorsa, ci sarebbero stati almeno due incontri tra il capo del Likud e i suoi uomini di fiducia.
Riunioni per discutere di manovre politiche, messaggi, coalizioni e dichiarazioni dal sapore di corsa elettorale. Al suo principale avversario dichiarato del momento, il capo dell'opposizione Yair Lapid, non resta che pronunciarsi altrettanto contro il ritorno dell'Autorità Palestinese al governo di Gaza, in contrasto con gli alleati Usa, accusando però Netanyahu di usare intenzionalmente questo discorso per aprire una spaccatura con gli Stati Uniti per suo tornaconto politico. […]
BENJAMIN NETANYAHU E LA VENDITA DI ARMI ISRAELIANE - VIGNETTA BY NATANGELO
2 - «È TUTTA COLPA DI OSLO» NETANYAHU HA GIÀ LANCIATO LA SUA CAMPAGNA ELETTORALE
Estratto dell’articolo di Davide Frattini per il “Corriere della Sera”
Oslo. Lo slogan che Benjamin Netanyahu ha scelto per la campagna elettorale ufficiosa — è stato lui ad aprirla di fatto martedì pomeriggio — sembra una contraddizione per il politico che sull’opposizione all’intesa con i palestinesi ha costruito la carriera.
Il […] primo ministro […] dell’Autorità palestinese non si fida — ribadisce — «è come Hamas, ma tenta di distruggerci per fasi, non in un colpo solo». Arriva a dire che «il numero delle vittime israeliane causato dagli accordi è lo stesso degli assalti del 7 ottobre, l’intesa ha rafforzato i terroristi».
SHIMON PERES - BARACK OBAMA - BENJAMIN NETANYAHU
Questo passaggio rivela — secondo i commentatori locali — la strategia in vista del voto inevitabile, anche se una data non è stata fissata mentre i soldati combattono a Gaza, anche se è lo stesso Bibi a ripetere: adesso è tempo di guerra, non di macchinazioni.
Che invece lui ha messo in moto per allontanare nel tempo il disastro di 10 settimane fa o almeno le sue cause: dal 7 ottobre 2023 al 13 settembre 1993, dalle sue responsabilità a quelle — secondo il suo schema — di Yitzhak Rabin e Shimon Peres, i firmatari del patto con Yasser Arafat.
Così i discorsi citano sempre Oslo come nel 1996, quando aveva ribaltato i sondaggi e battuto Peres prendendosi il primo dei sei mandati totali, questa volta senza bisogno di urlare il no alla pace con gli arabi a ogni apparizione, perché tanto l’intesa è stata sepolta in questi trent’anni e l’Autorità che ne era nata è moribonda.
[…] Lo sanno anche gli americani che da due mesi parlano di «Autorità palestinese rivitalizzata»: non si può tornare indietro alla stretta di mano tra Rabin e Arafat, bisogna guardare avanti e progettare il dopo Hamas a Gaza avendo comunque come obiettivo la soluzione dei due Stati.
Qui arriva la terza mossa del premier al potere dal 2009, salvo una interruzione di 563 giorni: creare da subito la frattura con gli Stati Uniti — anche solo apparente — per vantarsi con la base, «Joe Biden non mi ferma», inviare già in queste ore gli emissari per i corridoi della Knesset a rafforzare le vecchie alleanze e crearne di nuove, il tentativo è riportare nel Likud Gideon Sa’ar, legato a Benny Gantz, l’ex capo di Stato Maggiore che lo travolge nei sondaggi.
Sopratutto prepararsi a rintuzzare la sfida interna al partito che Yoav Gallant, il ministro della Difesa, sta costruendo. […]
benjamin netanyahu negli anni 70 quando serviva nel sayeret matkal CORAGGIO, FATTI HAMASSARE - MEME BY EMILIANO CARLI proteste sotto casa di netanyahu 1 foto di benjamin netanyahu bruciata in pakistan blinken netanyahu JOE BIDEN CON BIBI NETANYAHU IN ISRAELE EDITORIALE DI HAARETZ CONTRO NETANYAHU BIBI NETANYAHU TRA I SOLDATI BENJAMIN NETANYAHU DAVID BARNEA