Estratto dell’articolo di Alessandro De Angelis per “la Stampa”
Ci risiamo col riflesso pavloviano del nemico: prima i soliti noti che vorrebbero un governo tecnico, poi i magistrati che favoriscono l'immigrazione illegale, stavolta l'anonima Spectre comprende anche le tante manine che, con i fuorionda di Giambruno, spargono fango e cattiveria. Per Giorgia Meloni ogni crisi è un complotto: un mondo ostile che rema contro come alibi per nascondere una fragilità politica, in questo caso anche personale.
giorgia meloni a porta a porta 16
Fragilità, sottolineata dall'assenza alla manifestazione del suo partito, anche comprensibile: lo stress di un dolore privato in un momento politicamente complicato, su cui aveva chiesto silenzio dopo la separazione da se medesima violato. Per la premier però la debolezza, anche quando è rispettabile e umana, è un elemento da nascondere, in un mix di vittimismo e sfida, per cui tutto si risolve sempre in un noi contro loro, icastica espressione dell'ossessione populista: sudore, sangue, lotta, crociata da combattere con rabbia, mai una semplice criticità che si supera con fiducia.
[…] due i nodi che vengono al pettine. Il primo riguarda il rapporto col quel milieu di destra di provenienza, che mal si concilia col ruolo attuale. Giambruno col suo machismo caprone, col suo delirio di onnipotenza da intoccabile, col pacco e con le gaffe su immigrati, donne stuprate e ministro tedesco non è solo il compagno con cui è andata male. Ma è l'idealtipo di una certa suburra, parte integrante dell'album di famiglia della destra portata al governo.
Quel nucleo di ferro politico-familiare forgiato nell'era del minoritarismo sovranista delle origini poi premiato, in nome del primato della fedeltà sulle capacità. C'è cioè nella vicenda l'elemento di crollo di un mondo e la crisi di un vincolo tutto politico di appartenenza. Un bivio per la premier, tra la sua coperta di Linus e ciò che non riesce ad essere ancora. Che va ben oltre la separazione familiare.
Il secondo riguarda il rapporto col berlusconismo. L'idea cioè di averlo conquistato perché senza il fondatore quel mondo non va da nessuna parte, al punto da celebrarlo come un padre della patria senza averci fatto i conti fino in fondo. […]