Antonio Gnoli per “la Repubblica”
Nel complicato tramonto della nostra epoca può accadere che tutte le colpe vengano addossate a un solo grande evento. A una matrice cultural-politica che ha attraversato, come un vento impetuoso, il Settecento europeo: il cosiddetto secolo dei Lumi.
Di che cosa si è macchiato l’Illuminismo? La domanda se l’è posta Andrzej Zybertowicz, intellettuale polacco e influente consigliere dell’attuale presidente Duda. Zybertowicz riassume in sé i tratti del nuovo tradizionalismo che rivendica una sovranità politica sostanzialmente chiusa e una ridefinizione dei diritti troppo spesso spacciati per universali, ma in realtà inclini, a suo dire, a favorire e a difendere le differenze, soprattutto di genere.
Nell’intervista che ha rilasciato a Wlodek Goldkorn (apparsa su Repubblica del 19) egli accusa l’Illuminismo, reo di esaltare ragione e scienza, di essere la causa del fallimento morale e politico dell’Occidente.
Si potrebbe definire oscurantista la posizione difesa dal consigliere polacco di Duda? Giro la domanda al filosofo Massimo Cacciari che sia pure indirettamente affronta le grandi questioni implicite nell’Illuminismo con il suo ultimo libro dedicato a Max Weber: Il lavoro dello spirito (edito da Adelphi).
Che cosa pensi della posizione espressa su questo giornale da Andrzej Zybertowicz?
«La sua critica all’Illuminismo non è nuova ma va capito se è una semplice boutade reazionaria o un esame svolto con cognizione di causa».
Tu per cosa propendi?
andzej Duda presidente polacco
«La mia impressione è che non abbia ben chiaro il dramma entro cui si svolse la riflessione illuminista né tanto meno le differenziazioni che ci furono tra i suoi protagonisti. Per intenderci: Diderot non è Voltaire e quest’ultimo difficilmente si può ricondurre a Rousseau. Anche se alcune linee di fondo dell’Illuminismo furono ripercorse e contestate, quasi in tempo reale, dall’idealismo tedesco».
A chi ti riferisci?
«In particolare a certe figure che, almeno in principio, adottarono e fecero propria la filosofia dei Lumi: a parte Kant, il giovane Hegel e Schelling. Tutti entusiasti perfino di Napoleone che esportava i principi della rivoluzione, salvo poi, in un secondo momento, cogliere il limite e perfino lo scacco di quella grande impresa culturale e politica».
Massimo Cacciari - Il lavoro dello spirito
Che cosa piacque in un primo momento dell’Illuminismo?
«Fu il tema della libertà ad affascinare quei giovani filosofi. Schelling, Hegel e il poeta Hölderlin, testimoniarono il loro entusiasmo per la Rivoluzione francese, piantando nel giardino dell’Università di Tubinga l’albero della libertà».
Salvo poi pentirsene alla luce del terrore che la Rivoluzione scatenò.
«Gli effetti di quella tragica violenza furono letti da Hegel come l’incapacità dell’Illuminismo di fondare realmente l’idea della libertà».
Ma poteva riuscirci?
«Fu l’ambizione dell’Illuminismo: tenere all’interno del proprio sistema della scienza il pensiero scientifico più avanzato, cioè le teorie di Newton, con la critica ai valori tradizionali dell’autorità, cioè la lotta all’Ancien Régime.
INCORONAZIONE DI NAPOLEONE A NOTRE DAME
Questa combinazione sarebbe dovuta sfociare appunto nel sistema della libertà. Il fallimento di questa prospettiva portò l’idealismo a ritenere l’Illuminismo incapace di conciliare il momento tecnico-scientifico con quello etico politico.
Ma tale critica — che arriverà pur in un contesto diverso fino ad Adorno e Horkheimer — non va confusa con quel filone di reazione all’Illuminismo che avrà in Edmund Burke e Joseph de Maistre i grandi punti di riferimento».
Che cosa differenzia i due atteggiamenti?
«La Rivoluzione francese si deve considerare un accadimento epocale, oppure si può tornare indietro, a prima dell’Ottantanove? Gli idealisti tedeschi, sebbene critici, sapevano che il processo è irreversibile. Come lo sapeva Nietzsche.
Che cos’è Aurora o Gli idilli di Messina, o Al di là del bene e del male se non una critica radicale ai valori che precedono l’Illuminismo? I reazionari sognano un mondo le cui lancette orarie vengono spostate all’indietro. Temo che le posizioni espresse da Zybertowicz siano riconducibili a questi ultimi».
Zybertowicz fa discendere dall’Illuminismo il fondamentalismo dei diritti e rivendica la necessità di ridefinire, contro il cosmopolitismo, un’identità sovrana e nazionale.
«Torniamo agli staterelli? Alla difesa a oltranza dei propri confini identitari? Ma non scherziamo! Certo, il cosmopolitismo ideato dagli illuministi rischia, per mancanza di dialettica interna, l’omologazione, perdendo così le differenze. Perfino il discorso sulla tolleranza di Voltaire induce a cancellare le differenze, perché se tollero la diversità lo faccio da un punto di vista superiore».
E allora?
«Bisogna riconsiderare come fece Max Weber il rapporto tra il politico e l’economico e tra eguaglianza e libertà. Quest’ultima coppia forma sul piano mondano una contraddizione insuperabile e l’Illuminismo, per difetto di astrattezza, non si rese conto, che solo attraverso il termine “fratellanza” — una cristiana fratellanza — si poteva trovare conciliazione».
Quanto al politico?
«Non potrà risolversi nell’economico, ma proprio per “salvarsi” sarà costretto ad assumere un timbro religioso».
Che cosa intendi?
«Prima dell’Illuminismo, la religione era considerata fondamentale nella formazione dello Stato. Il secolo dei Lumi rompe con l’immagine del “doppio corpo del Re”, separa la potestas politica dall’auctoritas religiosa. E tuttavia, come dimostrano gli eventi successivi, è impossibile che il politico si costituisca nell’indifferenza religiosa. Era l’auspicio dei Lumi tenere nettamente separate le due realtà. Ma la politica per valere deve oltrepassare l’ambito tecnico, economico e amministrativo. Di nuovo ricomporre la separazione».
A questo proposito, la crisi della democrazia rappresentativa, su cui Weber aveva cominciato a riflettere, mi pare abbia enormemente ridotto la qualità dell’agire politico.
«Più si ridimensiona la potenza effettuale del politico, più necessariamente cresce la componente demagogico-plebiscitaria. Fino ad arrivare all’identificazione tra governo e pubblica opinione. Il riconoscimento della complessità sociale, che sta a fondamento del politeismo democratico, scompare nel mito del Popolo.
E il Popolo esige un Capo che si faccia seguire. Siamo così giunti al punto che sulla scena del politico irrompe una moltitudine incompetente che, dietro vaghe identità politiche, agita passioni nebulose: odi, desideri, frustrazioni, risentimenti. Di questo ci parla con drammatica lucidità Weber».
Lui parla anche del disincanto.
«Che non vuol dire accettazione della “gabbia d’acciaio”. La cui legittimazione è sostenuta anche dai reazionari. Cioè da coloro alla Zybertowicz che dicono: se non puoi uscire dalla “gabbia” allora stacci dentro. Rinchiuditi nel tuo staterello fino alla fine dei tuoi giorni, difendi i tuoi interessi particolari e guarda all’altro, che preme sul confine, come a una minaccia.
Questa è la forza dell’incantamento reazionario: credere che si potrà tornare a una nuova età dell’oro che l’Illuminismo ha provato a cancellare. Una tesi francamente irricevibile».
ROBESPIERRE andrzej zybertowicz 2