Monica Guerzoni per il Corriere della Sera
mario draghi in una scuola di sommacampagna
L'avvertimento di Mario Draghi ai recalcitranti partiti della sua maggioranza ha prodotto qualche primo effetto.
Non tutte le tensioni si sono allentate, anzi, ma almeno il capo del governo è riuscito a imprimere un'accelerazione a una riforma cruciale come la concorrenza, che rischiava di saltare per il gioco al rialzo dell'ala destra della maggioranza. E domani il presidente riunirà il Consiglio dei ministri per chiedere a tutta la squadra di governo di «correre sui progetti del Pnrr», perché le scadenze vanno rispettate. Il sottosegretario alla presidenza Roberto Garofoli, che due giorni fa spronava a evitare «battute d'arresto, passi falsi e distrazioni», informerà i ministri sullo stato di avanzamento del piano:
«Sono 15 le riforme e 30 gli investimenti che verranno realizzati entro il 30 giugno 2022, come previsto dalla tabella di marcia del Pnrr e che consentiranno all'Italia di ricevere 21 miliardi di euro». Ed entro il 31 dicembre bisognerà centrare il bersaglio del disegno di legge sulla concorrenza, decreti attuativi compresi.
È un dossier delicato e divisivo, ma dopo giorni di veti e moniti, la giornata di ieri ha segnato una distensione. La riunione di maggioranza non è finita in rissa e il ministro per i Rapporti con il Parlamento, Federico D'Incà, ha lodato i gruppi per il «clima molto collaborativo» e il «grande lavoro svolto».
La buona novella sta scritta nel calendario di Palazzo Madama. La riunione dei capigruppo ha fissato al 30 maggio l'approdo nell'Aula del Senato del disegno di legge, persino in anticipo rispetto all'ultimatum di Draghi che aveva indicato il 31 maggio. Grazie anche allo sprone della lettera del premier alla presidente del Senato, Maria Elisabetta Casellati, il voto si terrà il giorno stesso. E se la schiarita delle ultime ore non è un miraggio, non servirà il ricorso alla fiducia.
Era l'arma finale, poggiata metaforicamente sul tavolo dal premier durante quel Consiglio dei ministri lampo, 8 minuti appena, convocato per mettere i partiti davanti alle loro responsabilità: approvare una riforma chiave alla quale è legato il destino del Pnrr, o staccare la spina al governo. «O si chiude subito un accordo, oppure chiederò al Senato di votare il testo attuale e voi deciderete come comportarvi», aveva ammonito Draghi.
mario draghi premiato all atlantic council
L'avviso in bottiglia è arrivato ai naviganti, tanto che Enrico Letta, dopo aver drammatizzato quanto e più di Draghi, allunga la vita al governo prevedendo che «non cadrà sui balneari o sul catasto». Persino Matteo Salvini, a Porta a Porta, ha spazzato via qualche nube dal cielo di Palazzo Chigi: «Sui balneari bisogna lavorarci su, ma sono fiducioso». D'altronde il leader della Lega, che gareggia con Giorgia Meloni per il titolo di paladino delle spiagge a pagamento, sa bene che la fiducia farebbe cadere tutte le modifiche al testo, anche soluzioni apprezzate dalla categoria.
ENRICO LETTA AL DEM FESTIVAL DI EMPOLI
Nelle segreterie dei partiti si è preso atto che continuare a tirare la corda su provvedimenti legati al Pnrr è un gioco pericoloso. In ballo non c'è solo il destino del governo, ci sono 200 miliardi per il futuro dell'Italia e farli saltare per convenienze elettorali sarebbe pura follia. L'accordo sulle aziende balneari ancora non c'è, ma gli addetti ai lavori assicurano che «è vicino». L'Europa ci chiede di riformare fisco e concorrenza, la spinta per un compromesso è forte e arriva anche dal Quirinale, da cui si guarda con preoccupazione alle tensioni che agitano la maggioranza.
Il resto lo ha fatto Draghi, ignorando gli strepiti di Lega e Forza Italia e chiudendo a ogni ipotesi di stralcio della questione balneari. Richiesta che a Palazzo Chigi è stata giudicata semplicemente «assurda». E se Salvini voleva prorogare al 2025 la conclusione delle gare, il governo ha blindato il limite del 2024 concedendo che la deroga sia valutata caso per caso. «Siamo vicini all'accordo, ma serve ancora un po' di tempo - vede la luce il viceministro Gilberto Pichetto Fratin -. A forza di limature e mediazioni tra posizioni anche molto diverse dovremmo essere in dirittura d'arrivo».
A Palazzo Chigi non si esulta, ma c'è un filo di fiducia in più per la «ritrovata collaborazione» tra i partiti e il governo. E c'è un nuovo gruppo di dieci senatori a sostegno di Draghi, Italia al centro. Raccontano che lunedì, al termine dell'incontro con Marin, Romani, Quagliariello e Toti, uno di loro l'abbia buttata lì: «Presidente, dovrebbe restare anche dopo il voto del 2023...». Ma il «no grazie» di Draghi è arrivato a tempo di record: «La mia esperienza a Chigi finirà con questo governo».
draghi MARIO DRAGHI mario draghi