MI SUN LUMBÀRD - SIGARI, MANIFESTI E CANOTTIERE NELLA MOSTRA SULLE RADICI DELLA LEGA - NEL 1986 A VARESE APRIVA LA PRIMA SEDE DEL CARROCCIO - CHI PASSAVA IN STRADA SOTTO QUELLA SEZIONE, NEGLI ANNI ‘90, SENTIVA CANTARE IN DIALETTO: “MI SUN LUMBARD, MI SUN LUMBÀRD, E AL LUMBARD GHE GIREN I BAL”

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Roberto Rotondo per www.corriere.it

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La prima sede della Lega Lombarda, quella vera e un po’ romantica, fu la casa di Manuela Marrone, in via Crispi, a Varese: un piccolo bilocale dove il futuro marito, Umberto Bossi, fumando una sigaretta dopo l’altra, stampava i primi manifesti leghisti e disquisiva fino a notte fonda di un nuovo stato federale.

 

Ma c’era bisogno di un luogo fisico, visibile e condiviso, dove far germogliare il seme del leghismo: nel 1984 un notaio di Varese siglò l’atto di nascita del partito che avrebbe condizionato un’epoca. E due anni dopo, nel 1986, aprì la prima sezione italiana del movimento.

 

Bossi e Leoni non avevano una lira. Riuscirono a coinvolgere un giovane avvocato, Roberto Maroni, che però solo nel 1990 divenne militante a tempo pieno. A quell’epoca amavano il dialetto. Il fondatore scriveva poesie in cui raccontava la rabbia e l’emarginazione della vita in fabbrica. Accaddero molte cose. Nel 1985 Leoni fu eletto in consiglio comunale a Varese, e per attirare l’attenzione recitò un intervento in dialetto lombardo. Metà dei consiglieri uscì per protesta.

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Nel 1987 approdarono entrambi in Parlamento. Sembravano degli originali, gente uscita da un romanzo. Con altri militanti riuscirono a trovare due stanze un affitto a Varese, in piazza Podestà, nell’antico municipio, paradossalmente sopra la statua del soldato garibaldino che combatté per l’unità d’Italia.

 

Quella data fu uno spartiacque magico per la nascente Lega Lombarda. Quando comparve la bandiera aggressiva con la croce di San Giorgio e la scritta in dialetto, per molti fu un segnale. Sventolava da un balcone nel salotto buono di una città allora patria democristiana e un po’ socialista. Diede l’impressione, ai più accorti, che un virus fosse entrato nel sistema dei vecchi partiti. Fin dentro «la palude romana», come l’appellò Bossi.

In quei giorni, nella testa della gente, Bossi e i leghisti erano come i Grillo e i Trump di oggi: gente un po’ originale, demonizzata, ma che rappresentava la protesta. Una parte di quella storia è scritta ancora sui muri della «Betlemme leghista». Entrare oggi, in quella sezione di piazza Podestà, è come fare un salto in un piccolo museo della Lega Nord.

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Il segretario cittadino Carlo Piatti, passato all’opposizione in città, per la prima volta dopo 23 anni, mostra i primi manifesti dell’Umberto, quando ancora la Lega si chiamava Alleanza Lombarda. Le foto, nella sala riunioni, sono storiche davvero. Ci sono Bossi e Manuela Marrone che si abbracciano mentre guardano i risultati di antiche elezioni, o ancora la fotografia in cui la faccia di Umberto irrompe da un manifesto strappato, in una posa da rock star.

 

Adesivi, canzoni, memorabilia, brani in dialetto, francobolli commemorativi padani, gadget di Venezia 1996 con la dichiarazione di indipendenza della Padania, i manifesti in lombardo contro la Dc e il Psi di Varese. Se passavi in strada sotto quella sezione, negli anni Novanta, ogni tanto si potevano udire in strada inni in dialetto. Una canzone era più divertente di altre e imitava il genere reggae dei Pitura Freska, gruppo veneziano in voga all’epoca.

 

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Il testo era una summa della linea del partito. E recitava: «Mi sun lumbard, mi sun lumbàrd, e al lumbard ghe giren i bal». In piena epoca di polemiche antiromane, il cantante del Carroccio spiegava che «magna magna magna, magnano i rumàn. Ma poi arriva al Boss, che te spacà tucc i dent. E senza i dent… ghe magnen no».

In bilico tra goliardia politica e mitologia padana, i miti fondativi della Lega presalviniana sono rintracciabili in quelle due stanze.

 

Domenica 27 novembre la sezione compie 30 anni e alla festa di Varese, dalle ore 16, sono invitati Umberto Bossi (il più rappresentato nelle foto sui muri, anche in canottiera) Roberto Maroni, Giuseppe Leoni e via via tutti gli altri. Ci sarà nostalgia del passato? I vecchi militanti raccontano che fino a qualche anno fa, in sezione, bisognava sempre avere un sigaro e una Coca-Cola pronti all’uso. Perché se fosse arrivato Bossi — in genere di notte — sarebbe rimasto a bere e fumare fino alle 4 di mattina. Oggi non è più obbligatorio: la visita del capo è una liturgia sconsacrata. Ma da qualche parte, in piazza Podestà, sigari e Coca- Cola ci sono ancora.

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