Alessandro Barbera per “La Stampa”
Sei mesi a zero tasse per chi assume, o evita di licenziare in alcuni settori. Contratti di solidarietà pagati in parte dallo Stato, scivoli nelle grandi imprese per chi è vicino alla pensione.
Sull'agenda di Mario Draghi il primo luglio è cerchiato più volte in rosso. Fra 45 giorni, dopo un anno di sussidi senza precedenti dal Dopoguerra, termina il blocco per legge dei licenziamenti nella grande industria.
Nessun grande Paese fra quelli ricchi è arrivato a tanto. Le imprese più piccole, quelle che non hanno accesso ai normali strumenti di cassa integrazione, dovranno attendere fino al 31 ottobre, ma poco cambia: di qui in poi il governo deve progettare la fase due, quella del ritorno alla normalità.
DANIELE FRANCO MARIO DRAGHI ANDREA ORLANDO
Durante l'estate, e poi in autunno, vedremo fino in fondo le conseguenze della pandemia sulla struttura produttiva del Paese. Da giorni nello staff di Palazzo Chigi ragionano su un nome più efficace da dare al decreto «sostegni-bis», inizialmente immaginato per i nuovi aiuti alle imprese fermate dall'emergenza Covid.
Se ne parla ormai da settimane. All'inizio di questa era programmato il sì al decreto con tanto di conferenza stampa insieme al premier, poi le lentezze dei ministeri, i distinguo fra partiti e la complessità del testo hanno prodotto l'ennesimo ritardo. Draghi, con il sostegno attivo del Quirinale, fa finta di nulla e di necessità virtù, aggiungendo pezzi al nuovo decreto.
A Palazzo Chigi promettono il sì entro venerdì della prossima settimana, subito dopo aver affrontato con i partiti l'allungamento del coprifuoco e il calendario di tutte le riaperture. Ci sarà anche un cospicuo pacchetto lavoro, scritto in parte dal consigliere di Draghi Marco Leonardi, in parte dal ministro Andrea Orlando.
L'ex numero due del Pd annuncia un «contratto di rioccupazione», una sorta di apprendistato che, se legato a corsi di riqualificazione, garantirà al datore di lavoro uno sconto totale sui contributi previdenziali.
Confindustria ha già dato il suo assenso, anche se fonti dell'associazione sottolineano di attendere una proposta di riforma complessiva delle cosiddette politiche attive del lavoro. Il primo passo, imposto da Draghi al più cauto Orlando, sarà il commissariamento dell'Agenzia per il lavoro (Anpal) e la rimozione del presidente Mimmo Parisi, voluto nell'ente dai Cinque Stelle e più noto per le note spese sui viaggi andata e ritorno dal Mississipi (dove vive la famiglia) che per il lavoro fatto.
Nel decreto ci sarà un aiuto importante per gli imprenditori di turismo e commercio: chi dopo la fine del blocco non licenzierà, avrà diritto alla piena decontribuzione su ciascun dipendente, sempre per sei mesi.
Nel provvedimento ci saranno infine le norme per rendere più accessibile il superbonus sulle ristrutturazioni degli edifici: oggi per ottenerlo occorrono più di quaranta documenti.
Fatto il decretone Draghi dovrà passare altre due strettoie: le norme per accelerare gli appalti del Recovery Plan e organizzare la rete di controllo e gestione del piano stesso. Draghi, fedele al motto, «un problema alla volta» si è preso altre due settimane per chiudere la trattativa.
Il problema più rilevante resta la scelta dei ministri da coinvolgere nella cabina di regia del piano: non c'è partito disposto a rimanerne fuori. Affrontare un problema alla volta significa evitare condizionamenti da parte dei partiti: a Draghi, fra aiuti alle imprese, norme sugli appalti, riforma della giustizia e migranti fare una sintesi risulta ogni giorno più difficile.
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