Andrea Nicastro per il “Corriere della Sera”
La notte del 12 novembre 2001 in Afghanistan era senza nuvole. Una bella luna illuminava chilometri di automezzi talebani in fuga da Kabul verso il rifugio di Quetta in Pakistan. Su camion, auto e moto c'erano soldati, ministri e mullah in rotta, ma anche l'oppio stivato nella Banca Centrale, le armi, persino i mobili. Una squadriglia di cacciabombardieri avrebbe potuto distruggerla con facilità. Invece le risorse talebane arrivarono intatte e finanziarono la rinascita. Perché gli americani non bombardarono?
Probabilmente perché non si fidavano di chi, senza il loro consenso, aveva anticipato i tempi e aveva conquistato a piedi la città. Erano i mujaheddin dell'Alleanza del Nord, gli eredi del mitico comandante Massoud che più volte aveva implorato l'Occidente di aiutare la sua resistenza contro l'integralismo islamista. Lo ripetè inascoltato anche 5 mesi prima delle Torri Gemelle a Strasburgo. L'Alleanza del Nord aveva simpatizzanti in Francia (a partire da Bernard-Henri Lévy), ma non a Washington.
AFGHANISTAN - LA VALLE DEL PANSHIR
E i suoi eredi oggi sono nello stesso collo di bottiglia. Massoud era di etnia tajika, i talebani e lo stuolo di governatori e comandanti che si sono arresi durante la fulminea avanzata talebana di settimana scorsa sono pashtun. Come pashtun (di tribù diverse) sono il presidente fuggiasco Ashraf Ghani e i «mediatori» che hanno avuto il coraggio di restare a Kabul per discutere con i talebani di un «governo inclusivo». Tre (e mezzo) su quattro sono pashtun visto che Abdullah Abdullah, ex assistente di Massoud, ha padre pashtun e madre tajika.
I pochi che hanno resistito, o almeno ci hanno provato, sono i rappresentanti delle minoranze etniche del Paese: gli uzbeki di Mazar-i-Sharif, i tajiki di Herat, gli hazara di Bamian, i tajiki della valle del Panshir, proprio quella di Massoud, proprio quella dove oggi i talebani del secondo Emirato d'Afghanistan non sono ancora entrati. Unica area dell'immenso Paese. Già la sera di Ferragosto, con il presidente Ghani appena atterrato in Tajikistan, il ministro della Difesa Bismillah Khan Mohammadi scriveva su Twitter: «La maledizione cada su Ghani e la sua gang».
AFGHANISTAN - LA RESISTENZA AI TALEBANI
E due giorni dopo il vicepresidente Amrullah Saleh rincarava la dose: «Secondo la Costituzione in assenza del presidente il vice presidente ne prende il posto. Io sono all'interno del Paese, quindi sono il legittimo presidente facente funzioni». Mohammadi e Saleh sono entrambi tajiki del Panshir. Nessuno, nella Comunità Internazionale, ha speso una parola per riconoscerlo. Silenzio anche sulle lettere che il figlio del comandante Massoud, Hamad, scrive per il mondo: ad Henry Levy, al Washington Post .
Il 32enne Massoud, fresco di master a Londra, cita il Churchill della resistenza «lacrime e sangue», il Roosevelt dell'America «arsenale della democrazia». Parla dei «suoi» mujaheddin, delle «tanti armi accumulate sapendo che questo giorno sarebbe arrivato». Ma chiede aiuto. Sa di non poter resistere da solo. Ieri che era l'anniversario dell'indipendenza nazionale le manifestazioni più partecipate, fotogeniche, pacifiche sono state in Panshir, ma la situazione militare è precaria. I talebani bloccano gli accessi alla valle, le montagne dell'Hindo Kush completano l'accerchiamento. Il giovane Massoud si fa riprendere mentre sale e scende da elicotteri militari. E' possibile abbia anche centomila uomini, armi e spirito combattivo, ma ha bisogno di linee di rifornimento. Suo padre le aveva col Tajikistan, passava da Faizabad ora in mano talebana.
Un ponte aereo sarebbe troppo costoso. Piccole scaramucce hanno riportato il confine tra Panshir e «Talibastan» dov' era nel 2001, nella piana di Shamali a 30 chilometri da Kabul. Ma ci vorrebbe un'offensiva su Faisabad per poter resistere più di un inverno. Ci vorrebbero i bombardamenti americani per aprirgli la strada. Per il momento i «panshiri» arruffano il pelo, sperano di strappare al tavolo di mediazione a Kabul una qualche forma di autonomia dai talebani. Dopo anni di odio e sangue è davvero difficile pensare possano convivere o addirittura governare assieme. Il silenzio internazionale sul «presidente legittimo» dell'Afghanistan suona come una campana a morto.