1. «LI SEPPELLIRÒ NELLA MIA KOBANE» AYLAN E IL FRATELLINO RITORNANO A CASA CON IL LORO PAPÀ
Michele Farina per il "Corriere della Sera"
Abdullah Kurdi è un uomo che risale la rotta dei disperati.
Non gli interessa più arrivare in Grecia e da lì in Canada, a Vancouver, dove lo aspettava la sorella parrucchiera e una nuova vita. Abdullah va dove gli altri scappano. Solo questo vuole: tornare in Siria, a Kobane in guerra, alla città di macerie da cui è fuggito un anno fa. Anche questa volta viaggerà con i figli, Aylan e Galip, 3 e 5 anni. «Cosa c' è di più bello, ha detto ieri, di due figli che ti svegliano la mattina per giocare?». Viaggerà accanto a loro e alla moglie trentacinquenne, Rehan. E non sarà un calvario come l' andata.
Niente più controlli, confini, aguzzini, sete, umiliazioni. Sarà un ritorno confortevole, in aereo, con funzionari premurosi e occhi bassi al loro passaggio: Istanbul, Suruc, la frontiera, casa, il cimitero.
«Voglio solo seppellirli e restare con loro». Lo dice nelle interviste, a voce bassa sotto un sole crudele, sotto gli alberi che ingentiliscono l' obitorio di Bodrum. Nel corso principale di quella città, non lontano dai resort dei turisti, dalla piscina dove due mesi fa faceva il bagno mio nipote Federico, nei negozi turchi questa estate sono spuntati salvagenti, giubbetti arancioni, camere d' aria.
ABDULLAH KURDI CON I FIGLI AYLAN E GALIP
Come fossero ciabatte e secchielli. È l' economia spicciola intorno ai migranti. Alcuni si attrezzano, altri pregano il mare di essere come un olio.
L' altra notte invece era mosso. Le ondate, il trafficante si butta, l' imbarcazione si ribalta.
«Ho cercato di salvarli» ripete ora il padre. «Ho perso tutto».
Un pescatore ha trovato il corpo di Aylan come una bottiglia sul bagnasciuga, la testa rivolta al mare, a Kos, al futuro. Aylan nato in tempo di guerra, il bambino oggi più famoso del mondo. Fa venire in mente che quel conflitto è cominciato proprio contro i bambini - marzo 2011 - con l' attacco dei governativi ai piccoli siriani che disegnavano graffiti di protesta nelle strade di Daraa.
aylan e galip kurdi in una foto di qualche tempo fa
Quella di Aylan e Galip, il cognome lo dice, era una famiglia curda. Erano scappati da Kobane con il sogno di arrivare oltre l' oceano. Sull' altra sponda dell' America. A Vancouver la sorella di Abdallah, Teema, vive da 20 anni. La zia parrucchiera ieri ha raccontato la vana odissea per ottenere i visti, il diritto d' asilo.
Aveva parlato con un deputato dell' opposizione, che aveva consegnato la pratica al ministro dell' Immigrazione Chris Alexander, il quale aveva promesso di far entrare 10 mila rifugiati siriani (alla fine di luglio erano il 10%). Teema ha mandato soldi per l' alloggio in Turchia, i vestiti dei bambini.
Un sordo rimpallo di no e di burocrazia, dalla Turchia all' Onu al governo canadese, li ha portati l' altra notte sulla spiaggia di Bodrum. Alla tv canadese Teema in lacrime spiega che la cognata Rehan aveva paura, non voleva partire. Parla dei nipoti. «Due settimane fa Galip mi ha detto al telefono: "Zia mi compri una bicicletta?". Ho detto a mio fratello: "Ti manderò del denaro in più. La bici la vogliono tutti i bambini"».
i bagagli dei migranti riportati sulla spiaggia di bodrum
Le scarpe, i vestiti, domani la bici. Quel bambino morto sulla spiaggia «aveva belle scarpe ed era vestito bene: si vede che i suoi genitori non scappavano dalla guerra, volevano la bella vita in Europa». Così ha scritto qualcuno su Twitter. Miserie da dimenticare.
Quel padre che ora risale la rotta dei profughi verso l' inferno siriano, che porta la famiglia al cimitero di Kobane, addosso ha il senso di colpa che marchia i sopravvissuti. E il nostro? Sarebbe una consolazione se la guerra iniziata con la persecuzione di piccoli siriani cominciasse a finire con il sacrificio di due fratelli, di Aylan con le belle scarpe e il capo rivolto verso il nostro mare.
2. IL MONDO VUOL SAPERE DI AYLAN PER ILLUDERSI DI AVERLO SALVATO
Ferruccio Sansa per ''il Fatto Quotidiano''
Ora abbiamo visto. Non potremo mai più sostenere di non aver saputo. Ce lo ricorda Aylan, il suo corpo abbandonato come un sacco sulla spiaggia. Poi tra le braccia di un soldato. Chissà che almeno da morto non sia accolto in Europa. Che non possiamo dargli una tomba intorno alla quale raccoglierci tutti.
i bagagli dei migranti riportati sulla spiaggia di bodrum
Ci voleva una fotografia. Clic, uno scatto di un millesimo di secondo ha detto più di milioni di parole sprecate dai politici. Più dei proclami di Orban, Cameron, delle chiacchiere di Salvini, delle magliette della Meloni, dei post di Grillo. Parlavano di "clandestini" e "immigrati" da "rispedire a casa", per non usare le uniche parole giuste: persone. Uomini, donne, bambini.
Ma neanche gli articoli dei giornali c' erano riusciti, perfino i coraggiosi reportage dei migliori inviati. Ci volevano le foto di Yasar Anter e della collega Nilufer Demir ("Volevo solo mostrare il dolore che ho provato vedendo Aylan", ha raccontato la fotografa). Ora non potremo più nascondere le persone in mezzo a dati e statistiche come i trafficanti le celano su camion e barche. Hanno un volto, mani, occhi. Non potremo più fingere di non saperlo. Non potranno quelli che propongono di alzare muri, di chiudere i confini a chi non ha lavoro, di distinguere prima di tutto clandestini e rifugiati.
Aylan era un clandestino? Adesso tutti sentono di voler conoscere la sua storia. Per curiosità, ma anche perché così ci si illude di non averlo abbandonato fino in fondo. Pare quasi di salvarlo un poco. Che almeno non resti un corpo e basta. Aveva tre anni, si chiamava Aylan Kurdi.
IL BAMBINO SIRIANO MORTO SULLA SPIAGGIA DI BODRUM IN TURCHIA
Era partito da Kobane, quella città della Siria che ormai pare un concentrato di morte più che di vita: Is, milizie governative, curdi. Sparano tutti e in mezzo ci sono le persone.
Così la famiglia di Aylan-il padre, la madre e i due bambini - ha deciso di partire. Ha chiesto un permesso per il Canada, dove vive la zia del bambino, Teema: "Ho tentato di farli entrare in Canada e molti amici e vicini mi hanno aiutato a raccogliere i soldi necessari, come garanzia. Ma le autorità hanno detto no", racconta la donna.
Così la famiglia di Aylan ha tentato il tutto per tutto: in mare con gli scafisti. Racconta il padre Abdullah: "I miei bambini mi sono scivolati dalle mani. Avevamo dei giubbotti di salvataggio, ma all' improvviso le persone si sono alzate in piedi e la barca si è capovolta. Tenevo la mano di mia moglie, ma i bambini mi sono sfuggiti". Così sono morti Aylan e suo fratello Galip, cinque anni.
Di lui non ci sono foto e già la sua tragedia ci pare meno reale. Forse anche la mamma Rehan, 35 anni, è morta. Intanto la polizia turca ha arrestato quattro siriani, tra i 30 e i 41 anni. Sono accusati di aver causato la morte di 12 persone.
il corpo di un migrante sulla spiaggia di bodrum turchia
Aylan era un bambino, come nostro figlio. Ecco la fotografia. Non è la curiosità morbosa, animale, suscitata dalla morte a costringerci a guardare. Sono i dettagli: le mani abbandonate sui fianchi sono quelle dei nostri bambini quando si addormentano dopo i giochi. Sono gli stessi i capelli, scuri, forti, che abbiamo asciugato nelle nostre vacanze dopo un bagno in mare. E le scarpe, piccole come quelle che allacciamo prima di andare a scuola. Chissà, magari Aylan diventerà un simbolo.
Non si è salvato, ma almeno non resterà solo un morto da infilare in un sacco. C' è un momento in cui l' indifferenza esplode per il troppo vuoto. Se riusciamo a ripararci dalle parole, non possiamo impedire a un' immagine di entrarci dentro e raggiungere la nostra coscienza.
migranti in viaggio da bodrum a kos
Come la foto di Pete Muller che documentò l' Ebola sul National Geographic: un ragazzo morente, gli occhi spalancati dal delirio, afferrato da uomini in tuta bianca. Impossibile non vedere se stessi, le persone che amiamo in quello sguardo che perde la luce. Oppure il cadavere del bambino sorpreso in un assurdo, sgraziato volo, mentre viene lanciato in una fossa comune di Haiti dopo il terremoto. Ancora: gli occhi sopraffatti dal panico, troppo grandi rispetto al viso, degli orfani dell' Aids ritratti da Salgado in Africa. Adesso abbiamo visto.
3. NON SONO GLI ITALIANI A DOVERSI DISCOLPARE PER QUESTA FOTO -
DAVANTI A QUELLA FOTO È INEVITABILE PROVARE DOLORE, SBAGLIATO PROVARE SENSO DI COLPA
Gian Micalessin per ''il Giornale''
Adesso basta. L'immagine di quel corpicino abbandonato sul bagnasciuga di Bodrum e sbattuto in prima pagina dal Manifesto ed altri quotidiani non è né informazione, né compassione.
erdogan in versione imperatore ottomano
È puro e spregiudicato cinismo usato dai buonisti di professione per piegare le nostre coscienze, spegnere la razionalità a colpi di sensazionalismo e alimentare i sensi di colpa di un'opinione pubblica smarrita e disinformata. Immaginate cosa sarebbe successo se sopra quella foto ci fossero state le testate de Il Giornale o di Libero . Verremmo accusati di sciacallaggio o di giocare con le vite dei bimbi.
Ma il punto non sono le schermaglie da bassa macelleria mediatica agitate da una parte della politica italiana. Il punto vero è ribadire un concetto basilare. Quell'immagine può commuovere e turbare, ma non deve generare falsi sensi di colpa. I boia di quel bimbo, nonostante la conclamata inettitudine di Bruxelles e dei nostri governi, non siamo noi europei.
Il vero responsabile di quell'ignominia è la Turchia del presidente Recep Tayyp Erdogan. Se la Turchia di Erdogan e della Fratellanza musulmana non avesse alimentato la guerra in Siria, appoggiando Al Qaida, Stato islamico e formazioni jihadiste, quel bimbo e i suoi genitori non avrebbero abbandonato la propria terra.
E non sarebbero caduti nelle mani dei trafficanti di esseri umani se il presidente turco non avesse deciso di sbarazzarsi di due milioni di profughi siriani. Due milioni di profughi utilizzati per quattro anni come comodo bacino di reclutamento per le formazioni jihadiste, ma diventati ultimamente un fastidio insostenibile per l'opinione pubblica turca e per un presidente afflitto da inattese perdite di consensi elettorali.
Per questo all'inizio dell'anno Erdogan e i suoi hanno delegato ai trafficanti di uomini il trasferimento dei rifugiati verso le spiagge di Bodrum e la costa greca. Non a caso nei primi sei mesi di quest'anno, quando è iniziata la sistematica operazione di smaltimento, il numero dei profughi transitati dalla Turchia in Grecia è aumentato del 750 per cento passando da circa 16mila a oltre 125mila.
Cifre incredibili per un Paese efficientissimo nel non far passare uno spillo quando si tratta di bloccare gli aiuti alle città curde di frontiera assediate dallo Stato islamico. Certo in tutto questo l'inettitudine dell'Europa è evidente. La Turchia non è la Libia. Se Bruxelles fosse una reale entità politica potrebbe facilmente imporre uno stop ad Ankara o, addirittura, andare a selezionare i profughi meritevoli di accoglienza direttamente sul bagnasciuga turco.
campi profughi isole greche 11
Ma tra inettitudine e favoreggiamento c'è una grossa differenza. Per questo chi usa l'immagine di quel bimbo per alimentare falsi sensi di colpa si comporta alla stessa stregua degli utili idioti di leniniana memoria.
E regala un'inattesa sponda al peggior cinismo di Erdogan che ieri ha colto al volo la palla regalatagli dal buonismo europeo per assolvere se stesso e accusare l'Europa di trasformare «il Mediterraneo in una tomba».