LA PARABOLA DI TSIPRAS, DA PIROMANE A PIRLA DELLA TROIKA - IL TAPINO PENSAVA DI AVERE DALLA SUA L’ARMA FINALE: LA MINACCIA DI USCIRE DALL’EURO - QUANDO HA CAPITO CHE A BERLINO NON ASPETTAVANO ALTRO, S’È RIFUGIATO NEL REFERENDUM

Capito che i tedeschi volevano la “grexit”, Tsipras era in gabbia, cinque mesi di strategia negoziale finiti in pezzi a poche ore dalla fine del piano di aiuti - Per questo il premier si è disperatamente rifugiato nel referendum, sperando alla cieca che una vittoria potesse magari salvargli la faccia…

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Federico Fubini per il “Corriere della Sera”

 

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Sono passati venti giorni, ma ad Alexis Tsipras devono essere parsi più lunghi di tutto il resto della sua vita politica: una di quelle traversate così intense che si entra rivestiti di una certa identità, ma si esce irriconoscibili a se stessi. «Soffriamo ancora tutti di un disturbo da stress post-traumatico», ha riassunto l’altra sera il premier greco in diretta alla televisione nazionale, chiamando in causa la sindrome che tormenta certi militari rientrati vivi dall’Iraq.

 

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Tsipras è tornato solo da una serie di vertici a Bruxelles. In che misura sia ancora vivo per la politica ellenica ed europea, lo potranno dire solo i prossimi mesi. Ma la domanda alla quale fin da subito vorrebbero poter rispondere in molti attorno a lui è ancora più spiazzante: a soli 40 anni, un leader è abbastanza duttile per potersi trasformare in 20 giorni da una versione europea di Hugo Chávez in una di Ignacio Lula da Silva?

 

L’ex presidente brasiliano è il modello del leader arrivato al potere dalle periferie della sinistra, un uomo che rigettava l’ordine esistente ma poi riesce a lavorarci dentro senza perdere in coerenza. L’ex caudillo venezuelano è invece il suo opposto: un leader vanesio che rifiuta ed è rifiutato, votato allo status di paria internazionale e a nient’altro.

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Da Chávez a Lula la strada può essere lunga, ma Tsipras si è messo a percorrerla dalla fine dello scorso mese in poi. Era un altro uomo, blindato dentro altre idee e illusioni, quando a metà dell’ultima settimana di giugno è volato a Bruxelles per chiudere un accordo sui prestiti che dovevano permettere alla Grecia di superare l’estate.

 

Era in realtà ancora di più diverso appena quando cinque mesi si era accomodato per la prima volta al Maximou, la residenza dei primi ministri di Grecia. Allora Tsipras parlava poche parole di inglese, oggi è in grado di condurre un negoziato vitale senza interpreti.

 

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Ma giovedì 25 giugno a Bruxelles, racconta uno dei suoi amici di lunga data, il premier era ancora nella versione originale di se stesso. Convinto di poter piegare con i propri argomenti persino il governo tedesco. Incoraggiato dal suo ministro delle Finanze di allora Yanis Varoufakis, Tsipras pensava soprattutto di avere un’arma in più dalla sua: la minaccia di uscire dall’euro.

 

Varoufakis ci lavorava davvero, come lui stesso poi ha ammesso due giorni fa. Riferiscono varie persone che hanno vissuto in diretta quei giorni, che il premier si era convinto di poter far breccia sul resto d’Europa grazie al fantasma della Grexit. Il suo ministro gli aveva spiegato che gli altri governi ne avrebbero avuto talmente paura, che allo scadere del piano di aiuti il 30 giugno avrebbero ceduto per non rischiare una tempesta finanziaria.

 

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Con nervosismo, Tsipras e Varoufakis avevano registrato la persistente tregua sui mercati all’avvicinarsi della scadenza. Quindi il premier si era accorto che non solo la Grexit non impressionava: il ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schäuble la voleva persino.

 

A quel punto Tsipras era in gabbia, cinque mesi di strategia negoziale finiti in pezzi a poche ore dalla fine del piano di aiuti. Per questo il premier si è disperatamente rifugiato nel referendum, sperando alla cieca che una vittoria potesse magari salvargli la faccia. Ed è per questo che di recente ha detto sul conto di Varoufakis, mandando quest’ultimo su tutte le furie: «Non basta essere un eccellente economista per diventare un buon politico».

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Tsipras venti giorni dopo è un uomo diverso, più addentro ai rapporti di forza in Europa. Lo era già la sera del trionfo del «no» da lui sostenuto nel referendum: il suo ex amico Varoufakis ha raccontato di averlo trovato mesto nel suo ufficio, mentre poco lontano da lì la folla celebrava in piazza Syntagma.

 

L’altra sera in diretta tivù il premier ha mostrato questa sua metamorfosi forgiata nell’esperienza estenuante di questi giorni. Ha riconosciuto che l’accordo di Bruxelles non gli piace, ma si era reso conto che l’uscita dall’euro sarebbe stata una disfatta per i più poveri. «Si sarebbero trovati nelle mani dracme svalutate — ha detto — con cui si può compra poco». Tsipras ha aggiunto che ne avrebbero approfittato solo i ricchi, quelli che hanno già messo al sicuro i loro euro all’estero.

varoufakis e tsipras varoufakis e tsipras

 

I greci sembrano averlo capito. Lo hanno seguito in massa nel «no» dieci giorni fa, ma ora lo fanno anche nel compromesso: secondo l’istituto Kapa, il 72% vuole l’accordo con l’Europa e il 68% vuole Tsipras come premier anche se il governo cambiasse. Lui ha commesso errori disastrosi e forse non è il leader adatto, ma è il solo che la Grecia oggi ha. Se sarà in grado di trasformarsi in un Lula dell’area euro, lo decideranno i prossimi mesi. E l’ossigeno che gli lasceranno i suoi creditori.

 

Juncker e Tsipras Juncker e Tsipras TSIPRAS MERKEL HOLLANDE TSIPRAS MERKEL HOLLANDE

 

 

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