Carlo Bertini per ''la Stampa''
«Il tema non è il rimpasto, il tema è capire qual è l'assetto migliore dal punto di vista organizzativo per gestire il Recovery». Firmato Andrea Orlando. «Non so perché all'improvviso, a cinque giorni dal voto, si scateni la discussione sul dopo voto. La mia unica ossessione è vincere le elezioni e salvare l'Italia», dice Nicola Zingaretti.
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Fa una certa impressione vedere a quattro giorni dal voto il vicesegretario e il segretario del Pd dire cose così difformi su un tema cruciale come l'assetto dell'attuale governo. Ma nel Pd c'è un clima di rissa sottotraccia, proprio perché «le mire personali sono tante», ammettono quelli più addentro alla vita del partito.
Tra i Dem circola infatti già una lista di nomi che ambirebbero a entrare nel governo a vario titolo: e Andrea Orlando è in cima alla lista, pronto a riprendere i galloni di Guardasigilli al posto di Alfonso Bonafede o a fregiarsi di quelli più incisivi in questa fase di un ministero di peso economico. Seguito a ruota dal capogruppo al Senato Andrea Marcucci, che stando ai boatos ambirebbe ai dicasteri della Sanità, al posto di Roberto Speranza o della Scuola, al posto della Azzolina.
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Così come nella lista dei pretendenti a un posto di governo continua ad esserci, malgrado le smentite, l'altro capogruppo Graziano Delrio. Viceversa il più ostinato difensore dell'assetto attuale sarebbe Dario Franceschini, perché se entrassero altri Dem al governo forse si metterebbe in dubbio il suo ruolo di capodelegazione. Veleni in un mare inquinato.
Questo è il partito democratico prima di una resa dei conti che scatterà lunedì notte. Orlando quindi non demorde e fa irritare il segretario quando dice che «una riflessione andrà fatta. Il tema non è connesso alle Regionali, è connesso al fatto che entriamo in una fase molto nuova, impegnativa, diversa da quelle che abbiamo alle nostre spalle e questa domanda credo che sia giusta farsela».
Zingaretti invece scommette che non ci saranno rimpasti anche se nega vi sia un'intesa col premier per blindare il governo da qualsiasi conseguenza delle elezioni. Il suo mantra in campagna elettorale è l'appello a votare i candidati dem che possono sconfiggere la destra, appello rivolto in primis agli elettori grillini drammatizzando la situazione.
Elettori che il leader Pd spaventa dicendo che il risultato delle regionali non sarà senza conseguenze. «Quindi non può far passare l'idea opposta, ovvero che qualunque cosa succederà, lui e Conte resteranno attaccati alle loro poltrone»: questa è la musica che risuona dalle campane del Nazareno.
Ma nel Pd si dice anche che malgrado Luigi Di Maio dica «la parola rimpasto non mi piace e non piace agli italiani», in realtà l'ex capo dei Cinque stelle non si metterebbe di traverso perché se saltasse anche Conte in questa operazione di palazzo, sarebbe un effetto collaterale non sgradito. Così come - sempre secondo i Dem - lo sarebbe Renzi per la stessa ragione e per poter piazzare la Boschi in un ministero pesante. Voci che danno il senso del clima da tregenda in cui i partiti di maggioranza vivono la vigilia di questo voto.