PIÙ CHE UNO SCHIAFFO, UNA CAREZZA – AL G20 DI VENEZIA ARRIVA IL SÌ ALLA TASSA GLOBALE SULLE MULTINAZIONALI CHE DAL 2023 DOVRANNO PAGARE LE IMPOSTE SUI PROPRI GUADAGNI RISPETTANDO UNO SCHEMA CONCORDATO A LIVELLO GLOBALE, CHE PREVEDE UN'ALIQUOTA MINIMA DEL 15 - MA A GETTARE UN’OMBRA SUL SUMMIT SONO LE NUOVE VARIANTI CHE AVANZANO, METTENDO A RISCHIO LA RIPRESA. IL MINISTRO FRANCO: “LA PRODUZIONE MONDIALE DI FARMACI POTREBBE NON BASTARE PIÙ…”

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Luca Cifoni per “Il Messaggero”

 

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Dal 2023 le multinazionali dovranno pagare le imposte sui propri guadagni rispettando uno schema concordato a livello globale, che prevede un'aliquota minima del 15 per cento. E gli utili dei colossi del web - e quindi le relative tasse - verranno in parte redistribuiti ai Paesi in cui vengono effettivamente conseguiti. Ministri finanziari e governatori dei Paesi del G20, che complessivamente valgono circa il 90 per cento del Pil globale, hanno accolto con un applauso la conclusione dei lavori ieri a Venezia. E in effetti il risultato ottenuto sotto la presidenza italiana può meritare l'aggettivo «storico» usato da molti nella giornata di ieri. Si tratta certamente di un successo, anche se la sua portata effettiva dipenderà in modo cruciale dagli sviluppi dei prossimi mesi.

 

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IL MONITORAGGIO Eppure l'ombra delle varianti ha gettato un'ombra anche sul summit veneziano. Da una parte perché il nuovo corso della pandemia rischia di mettere a rischio una ripresa che pure sarebbe robusta, qualora il ritmo di vaccinazione nei vari Paesi non risultasse sufficiente. E come ha notato esplicitamente il ministro dell'Economia Daniele Franco nel corso della conferenza stampa finale, se nello scenario di poche settimane fa si pensava che la produzione mondiale potesse essere sufficiente ora questa sicurezza vacilla e la situazione dovrà essere monitorata con attenzione.

 

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L'incertezza risuona anche nelle parole del governatore della Banca d'Italia Visco, che ha parlato della necessità di «lavorare insieme in acque inesplorate» e di «normalità che non sarà più la stessa». L'intesa sul fisco si inserisce in qualche modo in questa situazione, perché come ha fatto notare Paolo Gentiloni, commissario agli Affari economici dell'Unione europea, con l'evolversi della pandemia «tutti hanno visto vincitori che hanno accumulato ricchezze straordinarie» mentre la ripresa «richiede ai paesi risorse per il rilancio e la ricostruzione».

 

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Risorse che arriveranno dai due pilastri dell'intesa tecnica raggiunta in sede Ocse e firmata al momento da 132 Paesi, che ora dovrà essere perfezionata nei dettagli entro il mese di ottobre per poi diventare operativa per tutti entro il 2023. Con il primo pilastro si vuole porre fine alla situazione in cui le multinazionali, soprattutto quelle digitali, non pagano imposte nei Paesi in cui effettivamente realizzano guadagni con gli utenti locali. Per quelle con un fatturato globale superiore ai 20 miliardi di euro, una quota tra il 20 e il 30 per cento dei profitti (ridotti di un margine di redditività del 10 per cento) saranno ridistribuiti negli altri Stati.

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Una formula complessa, che secondo i primi calcoli potrebbe includere colossi Facebook, Google e Apple, ma forse non Amazon. La definizione dei dettagli sarà decisiva e anche per rispondere ai governi dei Paesi in via di sviluppo la percentuale di riallocazione potrebbe essere fissata al 25 per cento. Nel secondo pilastro l'aliquota minima effettiva di almeno il 15 per cento si applicherebbe alle imprese con un fatturato di 750 milioni.

 

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Nonostante le pressioni di alcuni governi, con il sostegno pesante di Stati Uniti, Germania e Francia, appare difficile che questo livello minimo possa essere corretto verso l'alto. Si tratta comunque di una soglia superiore a quella applicata in diversi Stati, anche europei: l'obiettivo dichiarato è limitare, ma non cancellare, la competizione fiscale tra Paesi che ormai stava facendo sprofondare il livello delle aliquote.

 

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I CAMBIAMENTI Più ordinario appare il risultato della trattativa sul tema dei cambiamenti climatici, a cui sarà dedicato oggi un incontro specifico in appendice al vertice ministeriale. È vero che nel comunicato finale compare per la prima volta l'espressione carbon pricing ovvero il concetto di prezzo (che potrebbe trasformarsi in tassa o dazio) per scoraggiare le emissioni a livello globale. Ma quelle due parole sono circondate da una cautela che evidenzia i diversi approcci tra i vari Paesi. In questo contesto la commissione europea presenterà la prossima settimana la sua complessa e ambiziosa proposta, che punta alla riduzione delle emissioni del 55% entro il 2030. 

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