Goffredo De Marchis per “La Repubblica”
Puntare al cuore dei 5stelle, al regolamento che Grillo e Casaleggio hanno imposto per evitare "contestazioni sulla possibile partecipazione a elezioni politiche" sostituendo il famoso "non statuto" degli inizi. Denunciare le scatole cinesi che governano la struttura grillina e il ruolo dell'"associazione Movimento 5stelle", alias, clone del partito che sta in Parlamento, associazione che quando fa un'"assemblea totalitaria" riunisce quattro persone e solo due decidono, Grillo presidente dell'assemblea e Casaleggio segretario.
Quel regolamento va considerato "nullo, giuridicamente inesistente, di nessun effetto", non si può applicare alle espulsioni recenti e passate. In una parola, illegale. È scritto nel ricorso di tre espulsi dalle primarie di Roma che hanno deciso di uscire dalle segrete stanze di staff e comunicatori per rivolgersi al tribunale di Roma. Se i giudici seguiranno il filo della denuncia, il castello a 5stelle subirebbe un colpo durissimo.
I ricorrenti sono Paolo Palleschi, Antonio Caracciolo (il candidato che negava l'Olocausto) e Roberto Motta che chiedono di essere riammessi alle primarie grilline per Roma, vinte da Virginia Raggi. Ma stavolta gli espulsi non contestano solo i requisiti che, a giudizio del Movimento, non avrebbero rispettato e mettono nel mirino il regolamento interno, varato in fretta e furia alla fine del 2014 per paura che i 5stelle fossero cancellati dalle elezioni per evidenti lacune in materia di democrazia interna.
Il regolamento, dice l'atto firmato dall'avvocato Lorenzo Borrè di Roma, ex iscritto al portale di Grillo, è stato pubblicato sul blog ma non è mai stato votato da un'assemblea degli iscritti, né fisica né via web. È dunque una cornice stabilita dall'associazione clone ma che si applica al Movimento vero e proprio, a cui fanno riferimento militanti, amministratori locali e parlamentari.
Per la prima volta davanti a un giudice viene messo in discussione questo meccanismo e la violazione del codice civile, secondo Borrè. "Noi non abbiamo mai fatto causa - racconta il deputato espulso Massimo Artini - e non mi risulta che l'abbia mai fatto qualcun altro prima. Nei 5stelle non c'è niente di trasparente, ma preferiamo combattere con le armi della politica". Però, dice Artini, "è un bene che ci sia chi finalmente chiede a un giudice se una forza politica può essere gestita così".
Giancarlo Cancelleri Beppe Grillo
Secondo il regolamento a decidere le espulsioni è un comitato di appello composto da tre membri. Due sono stabiliti dall'associazione ma votati dall'assemblea in rete, uno è scelto direttamente dal consiglio direttivo dell'associazione. I componenti sono Roberta Lombardi, Giancarlo Cancelleri e Vito Crimi. Agiscono sulla base del regolamento che, è scritto nel ricorso, "è nullo, giuridicamente, di nessun effetto in quanto imposto da soggetti carenti di qualsiasi potere e in quanto adottato in assenza di qualsiasi deliberazione assembleare e/o accordo (peraltro da manifestare unanimemente) degli associati".
Per la prima volta un tribunale dovrà entrare nella spirale delle sigle e delle regole dei 5stelle. E lo dovrà fare in tempi brevi visto che gli espulsi chiedono il reintegro prima della presentazione delle liste per le comunali, ovvero entro la fine di aprile. È valida la procedura seguita dai 5stelle per cacciare i suoi iscritti?
Come si tengono insieme l'associazione alias e il Movimento che pur in mancanza di una legge sui partiti deve sottostare ad alcuni articoli del codice civile? Risposte che finora sono state affidate alla lotta politica, alle denunce dei fuoriusciti, agli sfoghi privati dei parlamentari fedeli a Casaleggio e Grillo. La risposta ufficiale di Alessio Villarosa, considerato un esperto dei meccanismi grillini, è laconica: "Non conosco la situazione di Roma". Ma adesso quello che conta è l'ordinanza di un giudice, il Movimento deve superare la prova di un tribunale che valuterà la trasparenza dei suoi atti e della sua costituzione.