QUANTI SEGRETI CONOSCE DAVVERO SNOWDEN? - GLI USA TEMONO CHE I FILE RUBATI DALLA “TALPA” POSSANO FAR SALTARE OPERAZIONI MILITARI E METTERE A RISCHIO LA VITA DI MOLTE FONTI

Le informazioni prelevate da Snowden in molti casi provengono da paesi non ufficialmente alleati degli Usa - Come la collaborazione dell’ex capo della diplomazia irachena all’epoca della guerra a Saddam del 2003 - Ecco perché è cominciata la corsa per avvertire tutte le “gole profonde” a rischio nel mondo…

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Paolo Mastrolilli per "la Stampa"

Il caso Snowden è anche più grande di quanto abbiamo saputo finora. L'ex agente della National Security Agency infatti ha portato via circa trentamila documenti, che non riguardano solo la sorveglianza elettronica, ma anche le attività tradizionali di raccolta delle informazioni. Questo sta costringendo i servizi americani a una corsa contro il tempo, per avvertire i loro collaboratori stranieri della possibile esposizione, prima che il danno diventi pubblico.

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L'ultima rivelazione del Datagate, pubblicata dal «Washington Post», rischia di compromettere operazioni ancora in corso e mettere in pericolo la stessa vita delle persone coinvolte. Snowden infatti non si sarebbe limitato a carpire i segreti della Nsa, ma ha pescato nel Joint Worldwide Intelligence Communications System (Jwics), cioè un archivio che contiene informazioni top secret provenienti da diverse agenzie. In un caso, ad esempio, ha preso documenti della Defense Intelligence Agency, a cui fanno riferimento i servizi dell'esercito americano, la marina, l'aviazione e i marines.

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Le informazioni prelevate riguardavano le attività condotte da un Paese della Nato, per ottenere segreti dalla Russia, che poi venivano girati all'Air Force e alla Navy. Si trattava di operazioni svolte con tecniche tradizionali, cioè lavoro di intelligence condotto direttamente sul campo dalle persone coinvolte. Rivelarle vorrebbe dire non solo compromettere questi canali, ma anche mettere a rischio la vita delle fonti.

Snowden ha trafugato migliaia di documenti di questo tipo, e l'imbarazzo consiste anche nel fatto che in molti casi le informazioni vengono da paesi che non sono ufficialmente alleati degli Stati Uniti.

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In certe situazioni può avvenire che il ministro degli Esteri di uno stato ostile agli Usa collabori con la Cia, all'insaputa del suo stesso premier, o viceversa. Oggi, ad esempio, è noto che l'ex capo della diplomazia irachena all'epoca della guerra del 2003, Naji Sabri, dialogava con gli americani, naturalmente alle spalle di Saddam Hussein. Inutile chiedersi cosa sarebbe avvenuto, se questo si fosse saputo quando il rais era ancora in carica.

Nelle dichiarazioni rilasciate finora, Snowden ha sempre ripetuto che il suo obiettivo è favorire la trasparenza del governo americano, non mettere a rischio la vita delle persone che fino a qualche mese fa erano suoi colleghi. Quindi ha detto di aver vagliato personalmente tutti i documenti passati ai giornalisti, tenendo fuori quelli che potevano rappresentare un pericolo, e chiedendo la garanzia che non sarebbero stati usati in maniera tale da diventare una minaccia per la sicurezza degli agenti.

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I servizi americani però non si possono basare sulle sue promesse per stare tranquilli: i documenti potrebbero comunque finire nelle mani sbagliate, magari attraverso l'opera di hacker malintenzionati, o essere vagliati in maniera errata in termini di conseguenze che possono provocare. Quindi è cominciata la corsa per avvertire tutte le fonti potenzialmente a rischio nel mondo, affinché riescano a proteggersi prima di essere esposte.

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Questo lavoro è molto complicato, perché in alcuni Paesi solo alcuni interlocutori sono informati della collaborazione in corso con gli Stati Uniti. Il rischio è quello di far saltare operazioni molto utili ancora in atto, o di condannare alla rappresaglia le persone coinvolte.

L'impatto complessivo dello scandalo quindi di allarga, passando dal risentimento degli alleati spiati, come quelli europei, alla minaccia di autentica instabilità nei Paesi non apertamente amici. L'amministrazione fatica a riprendere il controllo della fuga di notizie, e questo diminuisce la credibilità degli Stati Uniti e la disponibilità a lavorare con loro.

 

 

 

 

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