Esce oggi il nuovo libro di Bruno Vespa “Soli al comando”, sottotitolo “Da Stalin a Renzi, da Mussolini a Berlusconi, da Hitler a Grillo. Storia, amori, errori” (Mondadori, Rai Eri). Per gentile concessione dell’editore pubblichiamo un brano del capitolo sul Duce.
Vittorio Emanuele III non amò mai il Duce, ma dopo avergli dato l' incarico di governo nel rispetto dello Statuto non mosse un dito quando Mussolini se lo mise sotto i piedi. Nel 1929 gli italiani tornarono a votare. Ma fu una farsa: i candidati furono scelti dalle corporazioni sindacali e vagliati dal Gran consiglio. I fascisti presero il 98,34 per cento dei voti e va reso omaggio a quel 10 per cento che si astenne. Ha tuttavia ragione Giordano Bruno Guerri quando sostiene che il Duce avrebbe vinto con grandissimo margine anche in una consultazione regolare.
*** Oggi è difficile comprendere come mai Mussolini godesse di un consenso così ampio, mentre la libertà di voto era inesistente e quella di pensiero assai limitata, anche se personalità come Benedetto Croce poterono vivere indisturbate per l' intero ventennio. Forti investimenti pubblici, un' attenta politica sociale e culturale, e la trasformazione delle infrastrutture finanziarie del Paese dotarono il fascismo di strumenti che gli sarebbero sopravvissuti per decenni nel dopoguerra.
L' investimento più importante fu la bonifica delle paludi pontine, a poche decine di chilometri da Roma: fertili e ricche durante l' impero romano, erano ormai ridotte ad acquitrini malsani, abitati da poche centinaia di persone in condizioni di assoluto degrado. Nel 1930 Mussolini disegnò un rettangolo di 50 chilometri per 16 e chiamò 26.000 coloni dal Veneto (una delle aree più depresse e povere d' Italia) i quali, insieme a 230.000 altri lavoratori, bonificarono 800 chilometri quadrati di terreno fondando una serie di borghi intitolati ai luoghi di storiche battaglie della Prima guerra mondiale: Borgo Grappa, Borgo Piave, Borgo Sabotino, Borgo Podgora, Borgo Montello e così via.
Fu anche istituita una nuova forma di cooperazione economica, a metà strada tra individualismo e collettivismo. Ogni azienda agraria (con dotazione di mezzi meccanici e di un' organizzazione che nessun singolo contadino avrebbe potuto permettersi) serviva cento casali, che costituivano un piccolo borgo. In questo modo il regime arginò la disoccupazione nel periodo più duro della crisi partita nel '29 dagli Stati Uniti e che in Italia ebbe un impatto assai minore che negli altri paesi europei, anche per l' arretratezza della nostra economia.
*** Mussolini riuscì a mantenere il pareggio di bilancio nei primi otto anni di governo, ma nel 1930 autorizzò il disavanzo per un colossale piano di opere pubbliche. In Fascio e martello, Antonio Pennacchi annota ben 147 città e borghi costruiti a cavallo degli anni Trenta. Nacquero città di architettura razionalista come Littoria (l' attuale Latina), Aprilia, Pontinia, Pomezia.
Lo sforzo urbanistico maggiore fu però compiuto a Roma, nell' area che dal centro porta verso Ostia. Nel 1938 l' anno delle sciagurate e fatali leggi razziali Mussolini presentò in Campidoglio il progetto dell' Expo 1942, l' Olimpiade della civiltà, che avrebbe dovuto mostrare al mondo la nuova grandezza di Roma.
Questo conferma che il Duce, pur sapendo che si sarebbe arrivati a una guerra mondiale, non prevedeva certo che Hitler di lì a poco avrebbe invaso la Polonia. I lavori proseguirono a un ritmo tale che dopo quattro anni, quando dovettero fermarsi per il cattivo andamento della guerra, era stato costruito l' intero quartiere dell' Eur, a cominciare dal Palazzo della civiltà del lavoro, che scrive Emilio Gentile in Fascismo di pietra dimostra la temporanea volontà di pace di Mussolini.
Nacquero in quegli anni complessi di grande funzionalità ed eleganza, come la città universitaria della Sapienza e gli attuali ministeri degli Esteri alla Farnesina e dell' Industria in via Veneto, arricchiti da opere dei maggiori artisti del tempo, generosamente finanziati dal ministero della Cultura popolare.
L' autorappresentazione del fascismo, diffusa dai cinegiornali dell' epoca, offre l' immagine di ridicoli gerarchi guidati da un ridicolo Duce con il quale si scambiano sguardi marziali e saluti romani. Quanti sanno, però, che il fascismo poté contare con pochissime, coraggiose eccezioni sui migliori intellettuali italiani, gli stessi che subito dopo il 25 luglio 1943, e comunque nell' immediato dopoguerra, passarono quasi tutti sotto le bandiere del Pci, grazie all' intelligente amnistia morale di Togliatti?
Ma veniamo alle leggi razziali del 1938. Uno dei più implacabili sostenitori della persecuzione degli ebrei fu Giuseppe Bottai. Che era anche l' uomo culturalmente più aperto del regime. Nel 1940 fondò una rivista di grande prestigio, Primato, che morì con il regime nel luglio 1943. Con l' intelligente razzista Bottai furono lieti di collaborare i più bei nomi dell' antifascismo tardivo, tra cui Nicola Abbagnano, Giulio Carlo Argan, Vitaliano Brancati, Arrigo Benedetti, Carlo Emilio Gadda, Mario Luzi, Eugenio Montale, Cesare Pavese, Vasco Pratolini, Giuseppe Ungaretti, Cesare Zavattini e molti altri importanti intellettuali. Tra i musicisti i più noti erano Luigi Dallapiccola e Gianandrea Gavazzeni.
Tra i pittori e gli scultori, Renato Guttuso (esaltò gli squadristi in una recensione), Giovanni Fattori, Mino Maccari, Mario Mafai, Giacomo Manzù, Giorgio Morandi. Alberto Moravia chiese protezione al regime, Norberto Bobbio scrisse una lettera al Duce per avere una cattedra, Giorgio Bocca difese la politica razziale, il giovanissimo Giovanni Spadolini appoggiò il regime, come fece Eugenio Scalfari scrivendo su Roma fascista. Nel 1938 il grande archeologo Ranuccio Bianchi Bandinelli affiancò Mussolini nell' accompagnare Hitler in visita a Roma e a Firenze, e poi Hermann Göring (diventato comunista dopo il 25 luglio, nel 2004 fu accusato dalla partigiana Teresa Mattei di essere tra i mandanti dell' omicidio di Giovanni Gentile).
Non deve meravigliare, quindi, che nel 1931 soltanto 12 valorosi titolari di cattedra universitaria su 1250 risposero «preferirei di no» alla richiesta di prendere la tessera fascista per non perdere il posto. Mussolini seppe tirare dalla sua parte anche personalità non fasciste o addirittura come Alberto Beneduce, socialista e massone irriducibilmente antifasciste.
Prima dell' avvento del fascismo, Beneduce aveva fondato l' Istituto nazionale delle assicurazioni (Ina) e il Consorzio di credito per le opere pubbliche, due istituzioni finanziarie statali destinate a una grande longevità e gestite con criteri privatistici da dirigenti ben retribuiti e della stessa matrice laica. Il finanziere, che dopo il delitto Matteotti aveva perfino pensato di attentare alla vita di Mussolini, alla fine (e senza prendere la tessera) ne diventò collaboratore brillante e indispensabile. Nel 1926 gestì con estrema abilità le trattative internazionali per far tornare la lira a «quota 90» con la sterlina, cioè al tasso di cambio precedente la marcia su Roma.
Nel 1931 fondò l' Istituto mobiliare italiano (Imi) per la concessione di crediti industriali a lungo e medio termine. Poco dopo arrivò l' Iri, Istituto per la ricostruzione industriale, che salvò tre grandi banche trasferendo allo Stato il comando della politica creditizia. Beneduce fu il capofila geniale di una casta di finanzieri laici e spesso massoni che si formarono sotto il fascismo senza quasi mai aderirvi e che hanno dominato per decenni nel dopoguerra il mondo dell'«alta banca» e della finanza: Raffaele Mattioli, Donato Menichella, Enrico Cuccia (che sposò una figlia di Beneduce), Guido Carli e Paolo Baffi.
I sindacati fascisti difesero con una certa efficacia i diritti dei lavoratori, usando anche l'arma dello sciopero («Viva il Duce, ma noi vogliamo mangiare» recitava un cartello impugnato da una donna durante una manifestazione). Nel 1934 l' Italia fu il primo Paese al mondo ad avere le 40 ore settimanali a parità di salario. Nacquero l'Opera nazionale per la maternità e l' infanzia, l' Inps, l' Inail e le casse mutue malattie per le diverse categorie, che alla fine degli anni Trenta avevano 13 milioni di iscritti.
La scuola elementare fu portata a cinque anni, l' obbligo scolastico a 14, anche se non era facile far rispettare questa norma in un Paese ancora largamente rurale. Gli interventi assistenziali si moltiplicarono: vennero introdotti l' indennità di disoccupazione, gli assegni familiari e le integrazioni salariali per i lavoratori sospesi o a orario ridotto a causa della crisi successiva al Grande crollo del 1929.
Per compensare i lavoratori della riduzione dei salari, il regime predispose «una serie di servizi sociali e ... di possibilità ricreative, sportive, culturali, sanitarie, individuali e collettive, sino allora sconosciute o quasi in Italia e che influenzarono largamente il loro atteggiamento verso il fascismo e soprattutto quello dei giovani che più ne usufruirono» (Renzo De Felice, Mussolini il duce). Alla vigilia della guerra, 5 milioni di persone erano iscritte all' Opera nazionale del dopolavoro, che contava su 1.277 teatri, 771 cinema, 2.066 filodrammatiche, 7.000 tra orchestre, bande e scuole corali, 6.500 biblioteche. I bambini erano iscritti all' Opera nazionale balilla, assorbita più tardi dalla Gioventù italiana del littorio.