Maurizio Belpietro per “Libero quotidiano”
Il Pd non rischia alcun smottamento al centro, ma solo una frana in Liguria. Parola del suo segretario Matteo Renzi. Il quale ieri ha confidato le ambasce per il temuto disastro tra Levante e Ponente ai microfoni di Repubblica tv. Non sappiamo se quello del presidente del Consiglio sia stato un modo per mettere le mani avanti prima d’andare a sbattere, oppure un sistema per scaricare la candidata governatrice, ossia quella Raffaella Paita che prima è stata accusata da Sergio Cofferati di aver vinto primarie farlocche e poi è stata indagata dalla procura di Genova per omicidio e disastro colposo. Sta di fatto che il premier teme che in Liguria le elezioni finiscano come in Inghilterra, cioè male per la sinistra.
Non solo: udite, udite, Renzi intravede perfino il pericolo che all’ombra della lanterna risorga Silvio Berlusconi per tramite del suo consigliere politico Giovanni Toti. E davanti alle telecamere del quotidiano di Carlo De Benedetti, storico avversario del Cavaliere, avverte: attenti a dare per spacciato Berlusconi. Che cosa abbia indotto l’inquilino di Palazzo Chigi ad agitare lo spauracchio dell’uomo nero non è noto e per la verità parrebbe in contrasto con il magro risultato che Forza Italia ha conseguito domenica in Trentino Alto Adige, dove addirittura è stata «triplata» dalla Lega.
MATTEO RENZI E VINCENZO DE LUCA
Sta di fatto che Renzi quelle parole le ha pronunciate e per la prima volta è apparso meno risoluto di come siamo abituati a vederlo. In quattordici mesi il capo del governo non ha mai accennato a fare un passo indietro, ma semmai uno in avanti. Ieri, al contrario, è parso indietreggiare, sulle elezioni liguri, ma non solo. Il premier è apparso malfermo anche sulle elezioni in Campania, dove il candidato è quel Vincenzo De Luca, che per una condanna in primo grado rischia - nel caso venisse eletto - l’immediata sospensione, con il rischio di dover ripetere il voto.
MATTEO RENZI E VINCENZO DE LUCA
Anomalia che si accompagna a quella dei candidati impresentabili che sostengono l’ex sceriffo di Salerno. Giocando in difesa, a chi gli rimproverava di aver messo in lista persone poco raccomandabili, Renzi ha risposto che alcuni candidati lo imbarazzano e per quel che gli riguarda non li voterebbe neanche se fosse costretto.
Dal che non si capisce perché invece costringa i campani a votare quegli stessi impresentabili che a lui fanno schifo. Essendo non solo capo del governo, ma anche segretario del Pd, di un partito che, come non si stanca di ripetere, alle europee ha ottenuto il 40 per cento dei voti, perché non ha deciso di fare pulizia e di lasciare a casa quei candidati che lui non voterebbe neanche se costretto? La risposta non c’è.
O meglio, c’è e sta nel silenzio imbarazzato del premier quando si sfiora l’argomento. Non meglio è andata con il tema del giorno, ovvero la restituzione delle somme indebitamente incamerate dal governo con il blocco della indicizzazione delle pensioni. A chi gliene chiedeva conto, il presidente del Consiglio ha risposto che il governo deve «verificare cosa dice la sentenza», ma un secondo dopo ha aggiunto che «la sentenza non dice che bisogna restituire tutto».
COFFERATI BURLANDO PAITA RENZI
Una dimostrazione di difficoltà, perché o il governo la sentenza l’ha letta o non l’ha letta, una via di mezzo non c’è. E se non l’ha letta, dato che ormai è pubblica da una settimana, c’è da chiedersi che problemi abbiano a Palazzo Chigi con la lettura. Sta di fatto che Renzi ha rassicurato gli ascoltatori, dicendo che la questione sarà affrontata prima possibile, ma senza dire se sarà prima o dopo il 31 maggio, data fissata per le regionali. Una cosa è certa: con la scusa della sentenza della Corte costituzionale il governo ha riposto nel cassetto l’idea di un tesoretto.
Non ci sono i soldi. Marcia indietro anche sulla scuola. Dopo aver dichiarato ai quattro venti che tutti i precari sarebbero stati assunti, svuotando le liste d’attesa, ieri il premier ha annunciato che «tutti i precari della scuola non possono essere assunti», ma lo saranno solo quelli che ne hanno diritto. Poi, tanto per chiarire i concetti, ha aggiunto che la scuola non deve essere nelle mani dei sindacati o del governo, ma nelle mani di tutti, e, dopo l’esibizione di muscoli dei giorni scorsi, ciò significa che il governo è pronto a trattare con tutti.
Se non fosse chiara l’intenzione, Renzi si è anche affrettato a dichiarare di aver commesso «un errore di comunicazione», precisando che la riforma della scuola non risolve tutti i problemi e i poteri dei presidi non saranno assoluti, come ipotizzato, ma dovranno passare il vaglio dei docenti. Risultato? Tutto come prima o quasi.
Che il presidente del Consiglio stia giocando in difesa a questo punto è chiaro. Resta da capire se la sua sia una tattica in vista delle elezioni, per non inimicarsi sei milioni di pensionati e tre milioni di insegnanti e per non intestarsi eventuali sconfitte. O, se per la prima volta, si renda conto di essere sì un uomo solo al comando, ma avviato contro un muro. Tempo qualche settimana e lo capiremo.