Giancarlo Perna per “la Verità”
Chissà che ne verrà fuori di questo articolo frutto di un doppio disadattamento: io non sono in grado di parlare di Bruno Tabacci, inafferrabile più del mercurio, e Tabacci non doveva fare politica perché non ci capisce un piffero. Era nato, l' onorevole Tabacci, per auto contemplarsi e non per sottoporsi, come ogni politico, al consenso del prossimo che disprezza con tutta l' anima.
EGO SMISURATO
La sua natura lo portava a isolarsi in una torre d' avorio, attrezzarla di piscina per camminare sulle acque, parlarsi allo specchio dandosi del lei. E, se posso aggiungere, farsi crescere una barba da profeta sola figura, tra cielo e terra, degna di lui. Invece è glabro, Tabacci.
Bell' uomo di 71 anni, è entrato da protagonista nella cronaca rosa perdendo di vista la Storia alla quale era destinato. Un paio d' anni fa, i siti specializzati lo descrissero «infatuato come un adolescente di una rampante signorina meridionale», di 30-40 anni minore di lui. In precedenza, era stato messo in croce dalla stampa perché un' illustre ex fiamma, l' immobiliarista romana Angiolina Armellini, aveva celato al Fisco 1.243 appartamenti con un' evasione stimata di 2 miliardi. I cronisti ne chiesero ragione a Tabacci, nonostante la fine della relazione.
Divenne così di pubblico dominio il vecchio flirt, noto fin lì alla sola cerchia dei vip. Il politico fu subito guardato con altri occhi. Alla sua fama di burbero integerrimo si aggiunse quella di mandrillone. Tanto più che era sposato con due figli (grandi). I giornalisti, dicevo, volevano sapere da lui se fosse a conoscenza dei presunti pasticci di Angiolina e insinuavano qualche sua complicità. La replica di Tabacci fu sublime: «La signora era una bella donna e io non ero il suo commercialista». Ossia, avevamo ben altro da fare che guardare conti. Da allora, Bruno è un mito.
USCÌ PULITO DA TANGENTOPOLI
I lettori staranno già pensando che, poiché mi perdo in quisquilie, non sappia cosa dire di Tabacci. È vero il contrario: ho troppo da dire, ma confuso e non so da dove cominciare. Nato a Quistello, in quel di Mantova, Bruno si iscrisse a 19 anni alla Dc. La sua era la Dc lombarda di sinistra, guidata da Giovanni Marcora. «Mio unico maestro», dice oggi di lui. Morto Marcora, fu preso sotto l' ala dall' avellinese Ciriaco De Mita, pure lui della sinistra.
Incantato dalla competenza finanziaria del quistellano (laurea in Economia a Parma), lo promosse a 41 anni presidente della regione Lombardia (1987-1989) e, 3 anni dopo, deputato nella breve legislatura di Tangentopoli (1992-1994). Pareva l' inizio di una strepitosa carriera. Bruno, invece, finì nel tritacarne giudiziario, accusato di corruzione. Era innocente ma mise 7 anni a dimostrarlo, uscendo dalla vicenda a testa alta ma già imbiancata. Tornò a Montecitorio nel 2001 ed è tuttora lì, con ormai 5 legislature alle spalle. E ora andiamo al nocciolo. Quello che ha fatto da deputato negli ultimi 16 anni non è dicibile ma solo, per così dire, siglabile.
LA RUMBA DEI PARTITI
Estinta la Dc, fu eletto nel 2001 con l' Udc, alleata di Fi e centrodestra, allora noto come Casa della libertà. Nel 2006, è ancora nell' Udc ma già contrario al Cav e simpatizzante del centrosinistra del premier, Romano Prodi, leader della Quercia. Nel 2008, abbandona l' Udc, fonda la Rosa bianca (detta pure Rosa per l' Italia) con Mario Baccini e l' ex capo della Cisl, Savino Pezzotta. Nello stesso anno, rientra nell' Udc, senza lasciare la Rosa bianca e aderisce all' Unione di centro. Nel 2009, in disaccordo con Baccini, lascia Rosa bianca e Unione di centro, per fondare Alleanza per l' Italia con l' ex radicale ed ex sindaco di Roma, Francesco Rutelli.
Nel 2012, si candida alle primarie del Pd come antagonista di Pierluigi Bersani, Matteo Renzi, Laura Puppato, tutti del Pd, e Nichi Vendola, di Sel. Arriva quinto su 5. Gasato dalla sconfitta, accolta come prova di essere un politico per pochi palati fini, fonda Per l' Italia-Centro democratico. Contemporaneamente lascia il gruppo misto, dove in genere staziona per l' impossibilità di farne uno proprio come rappresentante unico delle sue fantasiose sigle.
ASSESSORE (GRATIS) DI PISAPIA
Saltabeccando, si ritrovò a fare - mentre nel contempo sedeva sul seggio di deputato - l' assessore al Bilancio di Milano nella giunta del vendoliano Giuliano Pisapia, cui è legato da simpatia umana. L' esperienza, a titolo gratuito, durò 2 anni (2011-2012). Nel 2013, si ricandidò a Roma con il medesimo Centro democratico fondato mesi prima, stupendo per la costanza. Nel 2014, stufo del tran tran di Montecitorio, si presenta alle elezioni Ue e crea per l' occasione, Scelta europea. È trombato.
Oggi - fino alle 17 di ieri, quando ho chiuso l' articolo - è di nuovo nel gruppo misto con la sigla Democrazia solidale. Ideologicamente sostiene il liberalismo-sociale, ossia un ossimoro; appoggia il governo Gentiloni e insieme Matteo Renzi capo del Pd, cioè un altro ossimoro; in periferia, coltiva alleanze con giunte Pd, Verdi, Sel, Italia di Valori, Scelta civica (ex montiani), in base agli umori.
AVVISTATO CON I RADICALI
Per riassumere. È passato dal centro delle sue origini, alla destra berlusconiana, poi di nuovo al centro, per assestarsi stabilmente a sinistra. Ora, in vista della nuova legislatura, studia come e con chi ricandidarsi. Nei giorni scorsi, è stato avvistato tra i radicali italiani, seguaci della turbantata Emma Bonino. Gli esperti fantasticano già di future alleanze. Oddio, non è l' ideale per chi viene dalla Dc. Dagli aborti boniniani in cui i feti erano aspirati con pompe di bicicletta, all' eutanasia libera di Marco Cappato, siamo all' opposto del cattolico, sia pure adulto. Tuttavia, l' agilità fin qui mostrata dal Nostro, autorizza a tutto. Tanto che, per prenderlo in giro, gli avversari ammirati dai suoi giri di valzer, polke e mazurke, parlano già di liste «marxisti per Tabacci».
FEDERICA GAGLIARDI DA FACEBOOK
Bruno è un uomo che si fa stimare per l' adamantina onestà pecuniaria. Ma anche per la bruschezza con cui rompe amicizie ed esce dai partiti se qualcuno lo delude. Non è uno che sparla alle spalle. Ti spacca il muso. Nel 2001, Silvio Berlusconi lo ha rilanciato ospitandolo nel centrodestra quando era politicamente finito.
Tabacci non gli è mai stato grato. Da un lato, lo ha considerato un bauscia indegno della sottile arte del governo. Dall' altro, un usurpatore da Palazzo Chigi nel ruolo che avrebbe dovuto essere suo.
Così, dopo due anni di convivenza, ha istigato Marco Follini, allora segretario dell' Udc, a rompergli le scatole da mattina a sera. Quando però Follini, la testa piene delle paturnie tabacciane, lasciò l' Udc per il nascente Pd, Bruno, giudicando la mossa troppo di sinistra, ruppe l' amicizia.
Ce n' è una marea di cose così. Nel 2008, piantò l' Udc, perché Pier Ferdinando Casini si appiattiva sul Berlusca. L' anno dopo, uscì dalla Rosa bianca appena fondata, perché il cofondatore, Baccini, si era anche lui riavvicinato al Cav.
1.235 VOTI ALLE ULTIME ELEZIONI
Insomma, pianta, si riappacifica, va per nuovi lidi, in base all' uzzolo. Che il popolo lo abbia eletto per quel partito e per una specifica politica, se ne impipa. Ergo, a dargli il voto sono rimasti quattro gatti: 1.235 in una recente elezione milanese. Ma Tabacci è sereno. Più prende batoste, più prova l' orgoglio di sentirsi un prodotto di nicchia. Ditemi voi, per tornare all' inizio, se questo è un politico facile da descrivere.